Ace e acconti, l’importo deducibile non va ricalcolato
Per un’impresa individuale in contabilità ordinaria, la deduzione Ace corrisponde al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio, determinato – per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016 – applicando l’aliquota del 4,75% all’incremento del capitale (rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2015), sommato alla differenza fra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010 (si veda l’articolo a fianco).
L’aliquota del 4,75% rileva solo per l’anno 2016, mentre dal 2017 si riduce all’1,6 per cento. La riduzione dell’aliquota è stata inserita dall’articolo 7 del Dl 50/2017, che nell’iter di conversione ha subìto diverse modifiche prima di approdare alla versione definitiva.
Lo stesso decreto ha previsto che l’acconto dovuto ai fini Ires (relativo al periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016) dev’essere determinato considerando quale imposta del periodo precedente quella che sarebbe derivata applicando l’aliquota dell’1,6%, anziché del 4,75 per cento.
Pertanto, poiché solo i soggetti Ires hanno dovuto rideterminare l’ammontare deducibile secondo la nuova aliquota vigente per il 2017, il lettore – essendo un soggetto Irpef – non era invece chiamato a ricalcolare l’acconto. L’effetto combinato del maggior versamento eseguito a giugno 2017 e della riduzione del reddito d’impresa potrebbe però consentirgli di abbassare o azzerare la rata di acconto Irpef dovuta a novembre 2017.
Tra le novità introdotte dalla legge di Bilancio 2017 (legge 232/2016), è compresa anche quella per cui la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010.
La gestione delle eccedenze
Per quanto riguarda l’eventuale eccedenza Ace rispetto al reddito di impresa (come nel caso indicato nel quesito), la parte del rendimento nozionale che supera il reddito d’impresa dichiarato può essere riportata a nuovo, computandola in aumento dell’importo deducibile dal reddito dei periodi d’imposta successivi; in alternativa, è possibile fruirne quale credito d’imposta, applicando a quest’eccedenza le aliquote Irpef di cui all’articolo 11 del Tuir. Il credito d’imposta dev’essere utilizzato in diminuzione dell’Irap e va ripartito in cinque quote annuali di pari importo.
La scelta tra il riporto a nuovo e la conversione delle eccedenze di rendimento nozionale è demandata al contribuente, che potrà convertire anche un importo parziale: nell’esempio del lettore, un’eccedenza Ace di 30mila euro potrebbe essere convertita per 25mila euro, e quel che rimane potrebbe essere riportato agli esercizi successivi.
La conversione va eseguita applicando alle eccedenze Ace gli scaglioni di reddito ex articolo 11 del Tuir, calcolando il credito Irap con le stesse modalità con cui si determina l’Irpef (nell’esempio, il credito sarebbe pari a 6.150 euro, applicando l’aliquota del 23% fino a 15mila euro e del 27% da 15mila a 25mila euro).
Il credito d’imposta può essere utilizzato solo a riduzione dell’Irap dovuta e non va esposto in compensazione nel modello F24. Dunque, considerato che il credito in esame non è incluso nella disciplina di cui all’articolo 17 del Dlgs 241/1997, non opera il limite generale di compensabilità, attualmente pari a 700mila euro annui; né il limite previsto dall’articolo 31 del Dl 78/2010, che vieta la compensazione dei crediti relativi alle imposte erariali, in presenza di debiti iscritti a ruolo, per imposte erariali e accessori di ammontare superiore a 1.500 euro. Inoltre, il credito non è subordinato all’apposizione del visto di conformità ex legge 147/ 2013.
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