Acquisto di crediti deteriorati, la base imponibile Iva sulle tracce del valore effettivo
La quantificazione del «valore economico» degli Npl spesso non emerge dai contratti per motivi di riservatezza ma le valutazioni possono essere supportate da documenti interni alle società contraenti
Con la risoluzione 79/E del 31 dicembre 2021 (si vedano in sede di primo commento gli articoli «Cessione crediti deteriorati, Iva legata al valore effettivo» e «Nella cessione di Npl per ora fa scuola solo la Corte di giustizia») è stato chiarito per la prima volta come individuare la base imponibile ai fini Iva delle operazioni di acquisto di crediti deteriorati (gli Npl, ossia non performing loans).
Il precedente documento pubblico relativo alle cessioni di crediti deteriorati è la risoluzione 71/E del 24 maggio 2000. In tale risoluzione, l’agenzia delle Entrate aveva sottolineato come anche le cessioni di crediti deteriorati costituissero una prestazione di servizi, resa dal cessionario dei crediti, avente causa finanziaria e rilevante ai fini Iva, in regime di esenzione, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 3, comma 2, n. 3) e dell’articolo 10, comma 1, n. 1) Dpr 633/1972.
Tale risoluzione non toccava invece il controverso tema di come determinare la base imponibile dell’asserita operazione finanziaria vertendo invece sull’applicabilità dell’imposta di registro alla cessione dei crediti. Veniva chiarito che le operazioni rientrano nel campo di applicazione dell’Iva (sebbene in regime di esenzione); quindi, per il principio di alternatività Iva-registro di cui all’articolo 40, Dpr 131/1986, l’imposta di registro è dovuta in misura fissa in caso d’uso.
La matrice unionale
Come quantificare la base imponibile in una situazione in cui, fatto 100 il valore di un credito ceduto, la società acquirente acquista lo stesso per 80? Partiamo dalla sentenza del 27 ottobre 2011, relativa alla causa C-93/10 (sentenza Gfkl). La società in questione acquistava da una banca crediti pro soluto relativi a contratti di mutuo disdetti e risolti versando un prezzo inferiore al valore nominale dei crediti stessi.
La prima questione oggetto di giudizio era se un operatore che acquisti, a proprio rischio, crediti in sofferenza a un prezzo inferiore al loro valore nominale, effettui una prestazione di servizi a titolo oneroso e compia un’attività economica. Secondo i giudici, qualora l’attività di un prestatore consista nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile (cfr. punto 17 della sentenza Gfkl). Una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso presuppone infatti l’esistenza di un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto (salve le eccezioni previste nella legge Iva).
I giudici della Gfkl citano un precedente della Corte di giustizia Ue: la sentenza Mkg, C-305/01 nella quale, a fronte di un acquisto di crediti (contratto di factoring) era stata individuata una prestazione di servizi e determinata la base imponibile della stessa. In quel caso, in contropartita dei servizi di factoring, il cessionario dei crediti riceveva una remunerazione, vale a dire una commissione pari al 2% per il factoring e una commissione di star del credere dell’1% dell’importo nominale dei crediti trasferiti (punto 17 della sentenza Mkg).
Invece, nella causa Gfkl il cessionario dei crediti non riceve alcun corrispettivo da parte del cedente, anche se esiste certamente una differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti e il loro prezzo di acquisto. Diversamente dalla commissione di factoring e dal premio di star del credere della citata sentenza Mkg, nei fatti di causa della Gfkl tale differenza non costituisce un compenso diretto a retribuire un servizio fornito dall’acquirente dei crediti ceduti. «La differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti e il prezzo di acquisto dei medesimi non costituisce il corrispettivo di tale servizio, bensì riflette il valore economico effettivo di tali crediti al momento della loro cessione, su cui incide lo stato di sofferenza dei crediti stessi e l’accresciuto rischio di insolvenza dei debitori» (punto 25 della sentenza Gfkl).
Tale impostazione legata al confronto tra valore nominale e valore economico dei crediti ceduti è stata fatta propria anche dal working paper 917 del 2017 sul trattamento Iva delle operazioni aventi a oggetto non-performing loans e le medesime conclusioni, raggiunte quasi all’unanimità, sono state formalizzate nelle linee guida del 108° meeting.
Pertanto, concludono i giudici, la Gfkl non effettua attività rilevanti ai fini Iva qualora la differenza tra il valore nominale dei crediti e il loro prezzo di acquisto rifletta il valore economico effettivo dei crediti medesimi al momento della loro cessione.
È indubbio che i giudici comunitari abbiano valorizzato il dato formale rinvenibile dal contratto: per la Mkg era stato definito chiaramente quale era il servizio e quale era il corrispettivo per ciascuna prestazione; la Gfkl non deduceva chiaramente in contratto alcun servizio né, tantomeno, un corrispettivo. I giudici dell’Unione non hanno ritenuto, per il caso Gfkl, la differenza tra il valore nominale e il prezzo di acquisto passibile di essere considerata essa stessa la base imponibile qualora il prezzo di acquisto rifletta il valore economico effettivo dei crediti medesimi al momento della loro cessione.
Il ragionamento dei giudici sembra essere il seguente: supponiamo che il valore nominale sia euro 100; il valore economico effettivo dei crediti sia invece pari a euro 90 (in quanto viene incorporato, per esempio, in questo minor valore il rischio di insolvenza del creditore e una componente finanziaria legata ai tempi di incasso). Nel caso in cui il prezzo di cessione dei crediti sia di euro 90, lo scambio viene fatto “alla pari”; ciò significa, implicitamente, che la Gfkl non ha avuto alcuna remunerazione e, quindi, non ha effettuato alcun servizio ma si è limitata ad acquistare un credito al valore del momento.
In un’ottica critica, la sentenza Gfkl meriterebbe qualche riflessione ulteriore sotto il profilo della comparabilità sostanziale con il caso Mkg: i due casi differiscono infatti per l’impostazione contrattuale (nella Gfkl non viene esplicitata la remunerazione mentre, nella Mkg, sì) mentre la sostanza non sembra molto dissimile visto che in entrambi i casi l’acquirente acquista a sconto i crediti del cedente.
Il recepimento nella risoluzione 79/E/2021
Tali principi sono stati fatti propri anche dall’agenzia delle Entrate la quale, nella risoluzione in esame, ha chiarito che, per la determinazione della base imponibile Iva dell’acquisto di crediti deteriorati, occorre far riferimento alla differenza tra il «valore economico» dei crediti al momento della cessione e il prezzo pagato al cedente per l’acquisto di questi ultimi. In particolare, tale «valore economico» riflette la valutazione alla quale giunge il soggetto passivo che acquista il portafoglio di Npls all’esito di analisi dettagliate e documentate circa l’effettivo valore dei crediti da acquistare: valore che si concretizza nella stima dei flussi di incasso attesi dalla gestione del portafoglio, tenendo conto dello stato di deterioramento dei crediti (si veda il precedente articolo «Sulla cessione di crediti deteriorati Entrate fuori linea rispetto alla Ue»).
Quindi, il corrispettivo esiste solo se lo sconto applicato ai crediti acquistati risulta superiore alla differenza tra il valore nominale e il valore economico. La base imponibile sarà commisurata a tale maggiore sconto concesso rispetto al valore economico dei crediti, per esempio: valore nominale degli Npls pari a 100; valore di mercato dei crediti deteriorati pari a 40; sconto applicato, 70. La base imponibile che secondo l’agenzia delle Entrate è esente, sarà pari a 10 (40+70-100).
La risoluzione 79/E ha comunque il pregio di aver definitivamente chiarito che, in ragione delle differenze strutturali tra portafogli di crediti in bonis e crediti deteriorati, il riferimento al valore nominale non risulta idoneo a «far emergere […] il reale ed effettivo vantaggio economico a favore del cessionario derivante, in termini di corrispettivo, dall’acquisto degli Npls».
Peraltro, sottolinea l’Agenzia, il criterio del «valore economico» dei crediti, quale parametro da utilizzare per determinare la base imponibile della cessione di Npls, non introduce un elemento “esogeno” rispetto all’autonomia negoziale delle parti (ovvero il cardine su cui si snoda la determinazione della base imponibile). Sebbene la quantificazione del «valore economico» degli Npls spesso non emerga dai contratti per motivi di riservatezza, le valutazioni possono essere documentate da documenti interni alle società contraenti. Ciò a patto che dette valutazioni siano opportunamente documentate e archiviate in documenti societari ufficiali e, pertanto, verificabili da parte dall’amministrazione finanziaria.
Infine, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che il momento impositivo relativo a tali operazioni coincide con quello in cui viene pagato il prezzo di acquisto del portafoglio di Npl; il corrispettivo si cristallizza in questo momento e non si renderanno pertanto necessarie rettifiche della base imponibile connesse all’effettivo incasso dei flussi attesi.
Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.
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