Con i trasferimenti in conto deposito tempi e costi ridotti
Lo strumento può essere utilizzato per risparmiare su tempi e costi di spedizione
Per razionalizzare la distribuzione sui mercati esteri, risparmiando in termini di tempi e costi di spedizione, le imprese italiane possono valutare di ricorrere a trasferimenti «in conto deposito». Le regole per la movimentazione e la successiva cessione delle merci sono però molto diverse a seconda degli strumenti prescelti.
Se si utilizza un contratto di call off stock (più noto in passato come consignment stock) con un distributore Ue, è ora disponibile (dal 2020) una dettagliata disciplina valida per tutti gli Stati membri (articolo 17 bis, direttiva 2006/112), modellata in gran parte sullo schema a più riprese validato dall’amministrazione finanziaria (risoluzioni 235/1996 e 44/2000).
Ricorrendo a tale tipologia contrattuale, la cessione intracomunitaria si realizza al momento del prelievo dei beni dal deposito da parte del consegnatario/cliente Ue, mentre nulla accade all’atto del loro trasferimento dall’Italia, salvo il monitoraggio della relativa movimentazione (Intrastat e tenuta di apposito registro).
In relazione alla territorialità, come confermato legislativamente a livello comunitario, si verifica in tal caso una deroga ai criteri generali in materia di «luogo della cessione», visto che la vendita dei beni avviene durante la loro permanenza in altro Stato e sarebbe quindi ivi rilevante come cessione interna, restando estranea al campo applicativo dell’Iva nazionale.
Regole analoghe a quelle per le operazioni con soggetti comunitari sono state a suo tempo ritenute applicabili anche nei rapporti con operatori extracomunitari (risoluzioni 58/E/2005, 346/E/2008 e, pur con alcune peculiarità, risoluzione 94/E/2013), con la conseguenza che i meccanismi applicativi delineati dovrebbero rimanere validi anche dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina europea del call off stock.
All’atto del prelievo dei beni dal deposito gestito in regime di call off stock, pertanto, l’operatore residente continuerà a realizzare una cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’articolo 8, Dpr 633/72 nei confronti del depositario/cliente extra Ue, anziché una vendita fuori campo Iva di beni esistenti all’estero.
Diversa è la situazione se l’invio all’estero (paesi Ue o extraUe) non è incardinato in un contratto riconducibile allo schema del call off stock. Se l’impresa trasferisce beni in un proprio deposito estero, per esempio, l’eventuale successiva vendita è stata sempre considerata, a livello nazionale, una cessione extraterritoriale con adempimenti e obblighi (anche d’identificazione fiscale) “variabili” a seconda del paese in cui è effettuata l’operazione.
Lo stesso dicasi se la vendita riguarda beni esportati a scopo di lavorazione e, incidentalmente, venduti all’estero (nota Dogane 1248/1997 e circolare 156/1999) o se si tratta della cessione di beni in temporanea esportazione (nota dogane 839/2000). Per la Cassazione (sentenze 23588/2012, 5894/2013 e 5168/2016) spetterebbe la non imponibilità se l’esportazione doganale è “finalizzata” fin dall'origine alla successiva vendita. Orientamento che (sebbene meritevole di approfondimento) pare condiviso dalle Entrate nella risposta 238/2020 sull’e-commerce indiretto.