Imposte

Distacchi di personale senza Iva se manca l’extravalore

La circolare 8/2020 di Assonime prova a uscire dall’impasse dopo la pronuncia della Corte di giustizia Ue

di Benedetto Santacroce

A circa due mesi dalla pronuncia della Corte di giustizia in tema di imponibilità Iva delle prestazioni di distacco del personale (causa C-94/19), si manifestano le prime perplessità. In particolare è Assonime, con la circolare 8/2020 diffusa il 19 maggio, a mettere in luce gli aspetti meno chiari della sentenza che ha comportato l’incompatibilità dell’articolo 8, comma 35, della legge 67/1988 rispetto alla direttiva Iva.

La Corte ha concluso per l’imponibilità Iva dei prestiti o distacchi di personale a fronte dei quali è versato il solo rimborso del costo, qualora l’una (prestito/distacco) e l’altra (importo versato) prestazione si condizionino reciprocamente. I punti di forza della sentenza, dai quali discendono siffatte conclusioni sono costituiti:

dall’onerosità della prestazione che si ha quando il compenso ricevuto costituisce il controvalore effettivo per il servizio prestato, ovvero esiste un nesso diretto tra servizio reso e corrispettivo ricevuto;

dall’irrilevanza dell’importo del corrispettivo, che può essere pari, superiore o inferiore al costo sostenuto per la retribuzione del personale.

Riproponendo la posizione sostenuta dalla Commissione europea in giudizio, Assonime considera che, in mancanza di pattuizione di una retribuzione superiore agli oneri sostenuti per remunerare il dipendente (ovvero in mancanza di un quid pluris “economico”), il distacco non ha luogo allo scopo di ricevere un corrispettivo. In altre parole, nell’ipotesi di rifusione alla distaccante del solo costo che questa sostiene per continuare a mantenere la sua posizione di datore di lavoro, non si potrebbe parlare di remunerazione della prestazione di servizio di prestito del personale. La causa del contratto sarebbe da rivenirsi altrove, ad esempio nelle esigenze organizzative dell’impresa, le quali giustificherebbero una prestazione di distacco senza ottenere in cambio “un corrispettivo adeguato” che remuneri il proprio impegno.

Tuttavia non si può fare a meno di sottolineare che la Corte, quanto all’aspetto quantitativo della controprestazione, non transige (si vedano anche le sentenze C-413/03, Hotel Scandic e C-263/15, Lajvér). È fuori discussione che l’importo del corrispettivo, sia esso maggiore, inferiore o uguale ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto, non intacchi l’esistenza (o meno) del nesso diretto tra prestazione e controprestazione.

Piuttosto, il discrimine tra onerosità della prestazione e semplice riaddebito del costo è da rintracciarsi nella sintesi degli interessi che il contratto concretamente mira a realizzare. Al riguardo si ripropone il passaggio dei giudici (punto 27 della sentenza C-94/19) secondo cui, se è dimostrato:

che il pagamento da parte della distaccataria degli importi che le sono stati fatturati dalla distaccante costituisce una condizione affinché quest’ultima distacchi il personale,

e che tali importi sono stati pagati a titolo di corrispettivo del distacco,

si deve concludere per l’esistenza di un nesso diretto tra le due prestazioni. E, dunque, per l’imponibilità ai fini Iva.

A contrario ragionevolmente si deduce che il nesso potrebbe venir meno (e con esso la rilevanza ai fini Iva delle somme corrisposte), se il pagamento (a prescindere dall’importo) non costituisce una condizione affinché il datore di lavoro si risolva a distaccare il dipendente e non risulta che l’importo pagato dalla distaccataria sia versato a titolo di corrispettivo della prestazione ricevuta.

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