Imposte

Il conto cointestato è una donazione indiretta

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di Angelo Busani

La cointestazione di un conto corrente bancario o di un dossier titoli è una donazione “indiretta” se è provato il cosiddetto animus donandi (vale a dire il fine di liberalità) del soggetto che ha immesso le risorse finanziarie nel conto corrente o che ha pagato il prezzo dei titoli poi immessi nel dossier cointestato.

Mancando la prova della sussistenza dell’animus donandi (che si può assolvere anche mediante presunzioni gravi, precise e concordanti) la cointestazione deve essere intesa quale comproprietà della giacenza esistente sul conto corrente e dei titoli immessi nel dossier.

Così decide il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica, con la sentenza n. 915/2017, depositata il 28 luglio scorso.

Il caso vuole che il giorno precedente, il 27 luglio, è stata depositata la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 18725, ovviamente non citata nella sentenza del Tribunale lucano) con la quale è stato stabilito che il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione diretta, con la conseguenza che essa è nulla se non stipulata nella forma dell’atto pubblico.

Nell’ambito della sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte è stato ribadito il medesimo principio accolto anche dal Tribunale di Potenza, e cioè che la cointestazione di rapporti bancari, con spirito di liberalità, integra una donazione “indiretta”; principio peraltro già affermato in precedenza da diverse sentenze della Corte di Cassazione.

Differentemente rispetto alla donazione “diretta” (che richiede l’atto pubblico per la sua validità), la donazione indiretta non necessita di questo requisito formale: essa infatti è un negozio giuridico che, seppur determinando il medesimo risultato economico della donazione (vale a dire: l’incremento del patrimonio del donatario e il corrispondente decremento del patrimonio del donante), è formalmente diversa dalla donazione (e per questo non deve avere la forma dell’atto pubblico, prescritta dal Codice civile per il negozio di donazione).

Se dunque la donazione indiretta si sottrae alla forma disposta dalla legge per la donazione diretta, alla donazione indiretta si applicano comunque (trattandosi di un negozio sostanzialmente identico alla donazione diretta) le stesse regole sostanziali che la legge detta per la donazione diretta: in particolare, la donazione indiretta concorre a formare la massa di valore sulla quale, una volta deceduto il donante, i legittimari del donante stesso (vale a dire, il coniuge superstite, i suoi figli e i loro discendenti nonché gli ascendenti del de cuius, se questi muoia senza lasciare discendenti) possono calcolare, e poi reclamare, la loro quota di legittima e cioè la quota del patrimonio del donante che ad essi spetta, per legge, una volta che il donante sia deceduto.

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