Imposte

Imposta di successione, il mutuo per la ristrutturazione si deduce dall’attivo ereditario

La risposta a interpello 342 riconosce che i debiti deducibili non sono solo quelli contratti per l’acquisto di beni compresi nell’attivo ereditario

di Angelo Busani

È deducibile dall’attivo ereditario, ai fini della determinazione dell’imponibile da sottoporre a imposta di successione, il mutuo contratto dal defunto per ristrutturare un edificio di sua proprietà.

Lo afferma l’agenzia delle Entrate nella risposta a interpello 342 dell’11 settembre 2020, riconoscendo che i debiti deducibili dall’attivo ereditario non sono solo quelli contratti per l’acquisto di beni compresi nell’attivo ereditario.

Il dubbio sulla deducibilità dall’attivo ereditario dei debiti contratti dal de cuius non al fine di finanziare un suo acquisto (non presente nell’attivo ereditario) sorge in quanto l’articolo 20, comma 2, del testo unico dell’imposta di successione (il Dlgs 346/1990) pone alcuni limiti e, in particolare, quello di cui all’articolo 22, comma 1, del testo unico, secondo il quale «Non sono deducibili i debiti contratti per l’acquisto di beni o di diritti non compresi nell’attivo ereditario».

Ora, quest’ultima norma deve essere intesa non nel senso che gli unici debiti deducibili sono quelli contratti per l’acquisto di beni compresi nell’attivo ereditario, bensì nel senso che, se si tratta di debiti contratti per l’acquisto di beni compresi nell’attivo ereditario, la loro deducibilità in tanto è ammessa in quanto i beni oggetto di acquisto siano compresi nell’attivo ereditario (e, pertanto, oggetto di tassazione con l’imposta di successione).

In altri termini, la norma che limita la deducibilità ha una finalità antielusiva, essendo preordinata a non consentire la deducibilità di un debito contratto per acquistare un bene il quale non sia poi compreso nell’attivo ereditario.

In sostanza, se il de cuius ha un patrimonio di 100 e contrae un mutuo di 20 per finanziare un acquisto di lingotti d’oro di valore 20, il valore del suo complessivo patrimonio resta sempre di 100. Ma se i lingotti d’oro di valore 20 non esistono poi nell’asse ereditario (che, in tal caso, avrebbe valore 80), allora la legge non permette di diminuire l’attivo tassabile di un importo pari alla passività. Questa scelta legislativa appare peraltro suscettibile di critica per la sua eccessiva rigidità: si pensi al finanziamento contratto dal de cuius per finanziare l’acquisto di un bene che poi non si trovi nell’attivo ereditario per cause non dipendenti dal de cuius stesso (perché distrutti, rubati o consumati, eccetera).

Dalla norma di cui all’articolo 22, comma 1, del Dlgs 346/1990, dunque non consegue anche che non sia deducibile un debito non contratto per finanziare un acquisto: il caso “classico” è quello del mutuo stipulato dal de cuius per finanziare non un acquisto ma un’altra sua spesa (come accade appunto nell’ipotesi del mutuo contratto per supportare i lavori di ristrutturazione di un edificio). Questa passività non soffre pertanto limitazioni alla sua deducibilità dall’attivo ereditario.

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