Irap, indeducibili i compensi pagati in misura fissa agli associati in partecipazione
Sono indeducibili dalla base imponibile Irap tutti i compensi pagati da una Srl ai propri associati in partecipazione, anche se calcolati in misura fissa e non in percentuale rispetto alle vendite realizzate dalla medesima società di capitali. Questa è la conclusione che emerge dall’ordinanza 16265/2019 della Cassazione.
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti di una Srl per il periodo d’imposta 2003. Tra i diversi rilievi, l’Ufficio contestava al contribuente di aver dedotto, ai fini del tributo regionale, i compensi in misura fissa attribuiti ai propri associati in partecipazione, il cui apporto, nel caso specie, era costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro.
In relazione a tale rilievo, dopo essere stata vittoriosa in primo grado, la società era riuscita a far valere le proprie ragioni anche dinanzi alla Ctr, avverso la cui sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’agenzia delle Entrate. Quest’ultima sosteneva che, in base all’articolo 11, comma 1, lettera b), n. 5 del Dlgs 446/1997, tutte le somme corrisposte all’associato in partecipazione, che apporti solo lavoro, risultano essere indeducibili ai fini Irap, essendo quindi irrilevante che la norma in questione faccia riferimento esclusivamente agli utili spettanti all’associato e non contempli forme di remunerazione diverse.
In effetti, l’articolo 11, comma 1, lettera b), n. 5 del Dlgs 446/1997, all’epoca vigente (e a tutt’oggi sostanzialmente invariato), stabiliva che nella determinazione della base imponibile non sono ammessi in deduzione «gli utili spettanti agli associati in partecipazione di cui alla lettera c) del predetto articolo 49, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi». Partendo da tale disposizione, che regolamenta ai fini Irap i contratti di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro (attualmente disciplinati nell’articolo 53, comma 2, del Tuir), la Suprema corte finisce per ribaltare la sentenza della Commissione tributaria regionale.
Nello specifico, i giudici di legittimità raggiungono le proprie conclusioni facendo leva sul disposto normativo di cui all’articolo 2549 del Codice civile. Secondo i giudici di legittimità, la fattispecie legale astratta del contratto di associazione in partecipazione prevede la partecipazione agli utili come unica forma di remunerazione dell’associato. Tuttavia, la natura essenziale della partecipazione degli utili non risulta essere necessariamente incompatibile con la previsione di una contemporanea corresponsione all’associato anche di una quota fissa. Tale principio risultava contenuto anche in precedenti pronunce della Cassazione stessa (n. 15175/2000 e n. 9264/2007)
Seguendo tale falsariga, l’ordinanza afferma che «la mera previsione negoziale di corresponsione all’associato, oltre che della partecipazione agli utili, anche di una quota fissa, non esclude di per sé sola la ricorrenza della causa del contratto di cui all’articolo 2549 del Codice civile (nella versione applicabile ratione temporis) nel quale trova pertanto titolo anche la prestazione dell’emolumento fisso versato allo stesso associato». Alla luce di ciò, secondo la Suprema corte, non è pertanto sostenibile che gli importi fissi pagati dall’associante all’associato si collochino al di fuori dell’articolo 11, comma 1, lettera b), n. 5 del Dlgs 446/1997, con la conseguenza che anche tali somme devono essere necessariamente considerate indeducibili ai fini Irap.
Cassazione, ordinanza 16265/2019