Iva sulle ristrutturazioni, beni significativi con soglie minime
La legge di Bilancio (205/2017) ha rivisto l'interpretazione del meccanismo di applicazione dell'Iva nel settore delle riparazioni e ristrutturazioni delle abitazioni private.
Il chiarimento riguarda la quantificazione dei beni definiti “significativi” e ceduti nell'ambito degli interventi di recupero edilizio, per i quali, in base a quanto disposto dalla normativa unionale ed interna, è prevista l'applicazione dell'aliquota Iva agevolata del 10%.
L’articolo 1, comma 19 della legge di Bilancio si pone come interpretazione autentica di una disposizione (articolo 7, comma 1, lettera b), legge 488/1999) che aveva causato in passato e che causa ancora non poche difficoltà applicative. È ora definitivamente chiarito che:
nel calcolo del valore del bene significativo non vanno considerate le parti staccate, le quali vanno individuate tenendo conto della loro autonomia funzionale rispetto al manufatto principale;
il valore dei beni significativi è quello risultante dall'accordo contrattuale tra le parti a patto che siano rispettati alcuni limiti;
la fattura emessa dal prestatore che realizza l'intervento di recupero agevolato deve indicare, oltre al servizio oggetto della prestazione, anche i beni di valore significativo.
In particolare, per ciò che riguarda la quantificazione del bene significativo, l'intervento del legislatore sembra essere mirato ad arginare il rischio della discrezionalità delle parti contraenti. Sebbene il riferimento sia al valore indicato nell'accordo contrattuale, sono fissate soglie minime che esso non può oltrepassare. Se il bene significativo fornito nell'ambito dell'intervento di ristrutturazione è prodotto dal prestatore stesso, la soglia è fissata nel valore di produzione del bene, ovvero materie prime e manodopera di produzione. Nel caso in cui, invece, il prestatore acquista da terzi il bene significativo, il limite consiste nel valore di acquisto del bene.
In altre parole, nelle due fattispecie bisogna far riferimento al valore del bene “a monte” dell'operazione (costo d'acquisto o costo di produzione), escludendo il mark-up applicato “a valle” al cliente. Il motivo di questa interpretazione potrebbe fondarsi sulla considerazione che nel mondo Iva, come chiarito più volte dalla Corte di giustizia, non è esclusa la possibilità che una prestazione di servizio o una cessione di bene avvenga ad un prezzo inferiore al prezzo di costo, sussistendo comunque il requisito dell'onerosità. Tuttavia, in questo caso c’è il riconoscimento di un'agevolazione in termini di minore tassazione Iva, avente il fine di favorire settori ad alta intensità di lavoro; perciò si richiede che non sia fatturato ad un prezzo più basso rispetto al costo – d'acquisto o di produzione – del bene significativo. Occorre cioè evitare che qualsiasi operatore nell'ambito della ristrutturazione edilizia, d'accordo col cliente, possa utilizzare in maniera abusiva il parametro normativo del valore contrattuale per determinare il bene significativo in modo da trarne un maggior beneficio in termini di Iva. La fissazione delle soglie anzidette dovrebbe escludere o quanto meno limitare tale eventualità.
Quanto alla richiesta della norma di indicare separatamente in fattura il valore del bene significativo, l'intervento è giustificato dal fatto che fino a questo momento a prevedere l'obbligo era esclusivamente un documento di prassi (circolare 71/E/2000), che non ha da solo il potere di introdurre adempimenti, obblighi ed oneri aggiuntivi in capo al contribuente.
Un'ultima cosa interessante dell'intervento del legislatore è che «sono fatti salvi i comportamenti difformi tenuti fino alla data di entrata in vigore della legge». Ciò significa che la norma avrà effetti positivi sugli eventuali contenziosi pendenti ed eviterà per il passato l'elevazione di specifiche contestazioni. Al contrario, per ovvie ragioni, non è ammesso il rimborso dell'Iva applicata alle operazioni già effettuate secondo le modalità indicate dalla prassi.