Imposte

Ivafe e imposta di bollo, il Dl Rilancio «fallisce» l’allineamento

La nuova norma sconta le difficoltà tecniche di applicazione delle due imposte (rispetto al massimale dovuto)

di Francesco Avella

Nel decreto Rilancio (Dl 34/2020) trova spazio, all’articolo 134, un intervento in materia di Ivafe parzialmente correttivo di quello recentemente operato dell’articolo 1, commi 710 e 711, della legge 160/2019 (di Bilancio 2020). Scopo dichiarato è uniformare l’Ivafe all’imposta di bollo.

La legge di Bilancio 2020 aveva ampliato l’ambito soggettivo dell’Ivafe – prima circoscritto alle sole persone fisiche residenti in Italia – agli enti non commerciali (tra cui trust e fondazioni) e alle società semplici ed equiparate residenti in Italia, stabilendo che soggetti passivi sono i soggetti tenuti al monitoraggio fiscale di cui all’articolo 4, comma 1, del Dl 167/1990 nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.

Tale intervento ometteva però:
di estendere l’Ivafe alle società di persone commerciali e alle società di capitali che possiedono conti correnti e prodotti finanziari all’estero, mentre l’imposta di bollo su conti correnti e prodotti finanziari in Italia è applicata anche nei confronti di tali società;
di prevedere, per gli enti non commerciali e le società semplici, l’applicazione dell’Ivafe nelle misure fisse e massime già previste in materia di imposta di bollo (imposta fissa di 100 euro per i conti correnti e i libretti di risparmio, imposta massima di 14mila euro per i prodotti finanziari).

La nuova norm a sull’Ivafe
L’articolo 134 del Dl 34/2020 interviene su questo secondo aspetto. Tuttavia, nel farlo, sconta le differenze tecniche di applicazione dell’imposta di bollo (che viene trattenuta direttamente dagli intermediari italiani, considerando ciascun esemplare di estratto conto o comunicazione periodica, e l’ammontare complessivo dei depositi titoli presso ciascun intermediario intestati al medesimo soggetto) rispetto all’Ivafe (che viene applicata in dichiarazione dei redditi dal contribuente, il quale ha piena visione di tutti i suoi depositi titoli posseduti all’estero). Di conseguenza, la nuova norma non riesce a realizzare un perfetto allineamento tra le due imposte.

In particolare, la locuzione utilizzata per introdurre il limite massimo di 14mila euro per gli enti non commerciali e le società semplici può condurre ad esiti diversi rispetto a quelli ottenibili con l’imposta di bollo. Nell’articolo 19, comma 2, del Dl 201/2011 viene introdotta la dicitura: «Per i soggetti diversi dalle persone fisiche l’imposta è dovuta nella misura massima di euro 14.000». Ma questo sembra implicare che l’Ivafe complessivamente dovuta da ciascun ente non commerciale o società semplice non possa superare i 14mila euro, per cui sommando tutte le imposte scaturenti da prodotti finanziari (e, letteralmente, anche da conti correnti e libretti di risparmio) si incontra un limite massimo nell’importo complessivo di 14mila euro.

Le regole sull’imposta di bollo
Ciò è molto diverso da quanto accade per l’imposta di bollo, perché:
è chiaro che l’imposta di bollo su conti correnti e libretti di risparmio si applica distintamente nella misura di 100 euro per “per ogni esemplare” di estratto conto inviato al cliente e non è in alcun modo limitabile dalla soglia dei 14mila euro, valevole esclusivamente per le comunicazioni relative a prodotti finanziari;
secondo le indicazioni fornite dalle Entrate nella circolare 40/E del 2011, l’imposta di bollo sui prodotti finanziari deve essere applicata tenendo conto dell’ammontare complessivo dei prodotti finanziari intestati al medesimo soggetto presso ciascun intermediario finanziario. Ciò significa che ciascun intermediario applica autonomamente, per quanto a sua conoscenza, la soglia dei 14mila euro, sui prodotti finanziari che il cliente detiene presso lo stesso.

Nello spirito dichiarato dell’intervento normativo (uniformare l’Ivafe all’imposta di bollo), in sede di conversione del Dl 34/2020 è quindi necessaria una revisione della stessa norma, per parificare effettivamente gli esiti scaturenti dall’applicazione delle due imposte. Si potrebbe forse ipotizzare anche un mero chiarimento interpretativo, ma la via normativa è certo preferibile.

L’incongruenza esemplificata
I differenti esiti sono riscontrabili nel seguente esempio numerico, riferito a un soggetto che abbia conti correnti e strumenti finanziari presso tre diversi intermediari. Emerge chiaramente la difformità finale.

Conto corrente presso intermediario I (controvalore 70mila )
[Imposta di bollo (Italia): 100 ; Ivafe (estero): 100 €]

Conto corrente presso intermediario II (120mila )
[Imposta di bollo: 100 ; Ivafe: 100 €]

Conto corrente presso intermediario III (20mila €)
[Imposta di bollo: 100 ; Ivafe: 100 €]

Prodotti finanziari presso intermediario I (5milioni €)
[Imposta di bollo: 10mila ; Ivafe: 10mila €]

Prodotti finanziari presso intermediario III (10milioni )
[Imposta di bollo: 14mila (soglia massima); Ivafe: 20mila €]

Somma algebrica
Imposta di bollo: 24.300 ; Ivafe 30.300

Totale dovuto (per applicazione della soglia massima sul totale Ivafe )
Imposta di bollo: 24.300 ; Ivafe: 14mila

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