La proposta/ Reverse charge sulle spese di sanificazione per ridurre errori e complicazioni
Con l’inversione contabile alla prestazione di servizi vantaggi anche in termini di esborso per i committenti
Nel nostro Paese l’individuazione delle prestazioni di pulizia relative ad edifici cui si applica il reverse charge viene realizzata sulla base delle caratteristiche oggettive delle operazioni, attraverso (circolare 14/E/2015), in particolare, il riferimento ai codici Ateco relativi alle prestazioni effettuate: codice 81.21.00 per la «Pulizia generale (non specializzata) di edifici» e 81.22.02 per le «Altre attività di pulizia specializzata di edifici e di impianti e macchinari industriali» (si veda quanto anticipato nell’articolo di Marco Magrini e Benedetto Santacroce).
Ebbene, un’operazione di sanificazione, costituendo una prestazione di servizi complessa, non può, a tal fine, essere identificata in maniera univoca con nessuna delle attività che la compongono, ossia né con le prestazioni di pulizia indicate né tantomeno con gli altri servizi forniti (ad esempio disinfestazione).
Tuttavia, all’interno delle operazioni di sanificazione sembrano potersi individuare due procedure distinte e con caratteristiche differenti.
1) Una prima, di carattere non ordinario, volta ad intervenire presso locali dove abbiano soggiornato persone con infezione da Covid-19 (anche ospedali, naturalmente) ed effettuata da aziende specializzate, anche attraverso strumentazioni sofisticate.
2) Una seconda, di svolgimento quotidiano, finalizzata invece a tutelare i soggetti che si trovano nei negozi e nelle aziende in attività e che viene realizzata a scopo cautelativo/preventivo.
Ebbene, relativamente a quest’ultima attività (periodica) di sanificazione, la quale, tra le altre cose, viene, di fatto, effettuata dalle stesse “normali” imprese di pulizia e congiuntamente ad una (precedente) attività di ordinaria pulizia dalle stesse svolta, potrebbe valutarsi la possibilità, in ragione dell’elevato numero di operazioni che dovrà essere realizzato nei prossimi mesi nonché della circostanza che i servizi in questione, in virtù della loro natura preventiva, assumono, di fatto, una connotazione particolare, di far rientrare (anche solo in via interpretativa) tali operazioni, anche a scopo di semplificazione, tra quelle di cui al codice 81.22.02 o, in alternativa, al codice 81.21.00.
In tal modo, l’inversione contabile si potrebbe applicare all’intera prestazione di servizi, con evidenti semplificazioni dal punto di vista contabile nonché vantaggi in termini di mancato esborso finanziario per i committenti, aspetto, quest’ultimo, particolarmente rilevante in un momento di difficoltà finanziaria per le aziende.
Del resto, l’applicazione del reverse charge in relazione ai servizi di pulizia nasce dall’esigenza di evitare fenomeni evasivi (mancato versamento dell’Iva fatturata da parte dell’impresa di pulizia) in un settore particolarmente difficile da controllare per gli Stati Ue, a causa della struttura delle aziende che vi operano, e l’estensione del reverse charge ad operazioni collegate a quelle «principali» (di pulizia) e svolte dalle stesse imprese di pulizia andrebbe in tal senso.
Allo stesso modo e per le stesse ragioni, potrebbe, altresì, valutarsi la possibilità di estendere anche ai servizi relativi agli impianti e ai macchinari industriali l’applicazione dell’inversione contabile, ad oggi, in Italia, limitata alle prestazioni aventi ad oggetto, in sostanza, i soli fabbricati, senza applicarsi invece a quelle riguardanti la più ampia categoria dei beni immobili, come invece consentito dalla direttiva 2006/112/Ce (articolo 199), tenendo conto, altresì, della nozione Ue “allargata” di «bene immobile», in vigore dal 2017, individuata dall’articolo 13-ter del regolamento Ce 2011/282.