Controlli e liti

Le cessioni all’esportazione «assimilate» non dribblano il plafond Iva

La Cassazione boccia il contribuente che voleva escludere tali operazioni dal calcolo della percentuale rilevante

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di Massimo Sirri

È da rigettare la tesi secondo cui l’effettuazione di cessioni all’esportazione assimilate ai sensi dell’articolo 8 bis, Dpr 633/1972 deroghi alle regole generali previste in materia di plafond degli esportatori abituali per l’effettuazione di acquisti (e importazioni) senza applicazione dell’imposta. E questo, tanto in forza di una corretta lettura delle disposizioni in materia e dei relativi rimandi normativi, quanto per ragioni di ordine sistematico.

Queste, in sintesi, sono le conclusioni cui perviene la corte di Cassazione nell’ordinanza 27389 depositata in data 1° dicembre.

Una società riteneva di poter eseguire acquisti senza pagamento dell’Iva, pur non essendo in possesso della qualifica di “esportatore abituale” (stante il mancato raggiungimento del limite del 10% del volume d’affari con operazioni rilevanti ai fini dell’acquisizione di tale status). E questo nel presupposto che il suddetto limite operi solo in relazione alle cessioni all’esportazione in senso proprio o alle cessioni intracomunitarie, ma non anche per le cessioni “assimilate”.

Di diverso avviso sono i giudici, i quali osservano che il supero della soglia del volume d’affari, sebbene formulata «con specifico riferimento all’articolo 8» del decreto Iva, non concerne le sole cessioni all’esportazione, ma ha valenza generale e riguarda tutte le operazioni non imponibili, considerate rilevanti ai fini della specifica normativa. Ne danno prova, come anticipato, sia il dato normativo sia valutazioni di ordine sistematico.

Sotto il primo profilo, ancorché la norma dell’articolo 1, Dl 746/1983 (contenente la regola della percentuale sul volume d’affari) richiami effettivamente le cessioni all’esportazione dell’articolo 8, va tuttavia osservato che l’articolo 8-bis, relativo alle cessioni assimilate (al pari dell’articolo 9 sui servizi internazionali), opera un rinvio all’articolo 8, comma 2, Dpr 633/72, con ciò intendendosi evidentemente operare un’estensione della disciplina alle esportazioni assimilate.

Configurandosi come un “rinvio mobile”, pertanto, esso non va inteso alla specifica disposizione richiamata nella sua formulazione originaria, quanto piuttosto alla “ratio” delle due disposizioni (quella di rinvio e quella richiamata) che andrebbe individuata nell’esigenza di uniformare il regime degli acquisti, fissando un “limite monetario” all’applicazione del meccanismo del plafond.

Ancor più convincenti sono le argomentazioni di carattere sistematico. Secondo la sentenza, sarebbe infatti irragionevole espellere le cessioni all’esportazione assimilate dal calcolo della soglia di rilevanza per l’acquisizione dello status di esportatore abituale, posto che il limite percentuale (di operazioni non imponibili sul totale volume d’affari) è posto a presidio dell’esigenza di attribuire l’“agevolazione” del plafond soltanto in situazioni in cui l’eccedenza creditoria – che consegue all’effettuazione di operazioni attive senz’imposta, ma con diritto di detrazione – abbia riflessi negativi penalizzanti sotto il profilo finanziario. Il che, avviene in presenza di una rilevante incidenza di tali operazioni sull’attività complessiva.

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