Imposte

Merci trasferite in un deposito Ue: manca una linea sicura sull’Iva

Il trattamento dipende dal contratto e dal tipo di operazione eseguita. Le singole risposte a interpello e le sentenze spesso si contraddicono

L’efficacia delle politiche di distribuzione per le vendite all’estero deve fare i conti con le regole fiscali e doganali.

Se si trasferiscono beni in un deposito in altro Stato membro per meglio soddisfare le esigenze dei clienti di quel Paese o di altri Stati Ue o anche extracomunitari (in una logica di ottimizzazione di costi e tempi di consegna), occorre prestare attenzione agli accordi fra le parti, ma soprattutto al concreto svolgimento delle operazioni.

Cessione assimilata e «vera»

Nella fattispecie di cui alla risposta a interpello 273/2020 (al di fuori del caso del «call-off stock» di cui all’articolo 17-bis, direttiva 2006/112 e in una situazione in cui la permanenza dei beni all’estero non configura una mera sosta tecnica), l’invio della merce in deposito per la successiva consegna ai clienti extraUe o comunitari che ne ordineranno l’acquisto, va considerato distintamente dall’operazione di vendita. La conseguenza è che in tale ipotesi non può parlarsi di una cessione intracomunitaria o all’esportazione dall’Italia.

In pratica, il trasferimento nel Paese Ue del deposito, cui non è (ancora) associata una vendita già perfezionata nei confronti di un cessionario individuato, realizza un’operazione intracomunitaria che è solo “assimilata” a una cessione, coerentemente con quanto prevede l’articolo 17, direttiva 2006/112 in materia di spostamento di beni da Stato Ue a Stato Ue a titolo non traslativo della proprietà.

In effetti, la «vera» cessione interviene quando i beni sono nell’altro Stato (laddove essi avranno formato oggetto dello speculare acquisto intracomunitario assimilato a cura della posizione Iva di cui il cedente nazionale dovrà dotarsi anteriormente al trasferimento della merce) e sarà qui territorialmente rilevante come cessione intracomunitaria, se i beni sono destinati a un diverso Stato Ue, o all’esportazione, se destinati fuori Ue (o ancora come cessione interna, se venduti a clienti di tale Stato). E tutto questo è corretto, perché il luogo della cessione, ai sensi degli articoli 31 e 32 della direttiva e quale che sia la destinazione del bene, è quello in cui esso si trova al momento della vendita o dell’inizio del trasporto/spedizione, luogo che, nel caso della risposta n. 273, è lo Stato in cui è ubicato il deposito, e non l’Italia rispetto alla quale tale (vera) vendita è extraterritoriale (fuori campo Iva).

Il precedente chiarimento

Queste – ineccepibili - conclusioni sembrano prendere le distanze dalle affermazioni di cui alla precedente risposta 238/2020. Esaminando il caso dell’esportazione definitiva di beni fuori del territorio Ue a destinazione di un deposito (doganale) da cui saranno estratti e sdoganati solo se e quando saranno acquistati dai clienti (nella specie, privati che utilizzano una piattaforma on-line), le Entrate hanno infatti affermato che non si tratta di vendite fuori campo Iva ai sensi dell’articolo 7-bis, Dpr 633/72, bensì di cessioni all’esportazione non imponibili ex articolo 8, Dpr 633/72. In pratica, il regime di non imponibilità viene fatto retroagire con riguardo alla vendita di beni esportati che, però, sono ceduti solo in un momento successivo, ossia quando non sono più fisicamente esistenti nel territorio dello Stato, circostanza che dovrebbe invece rendere l’operazione territorialmente irrilevante. Il tutto, con i conseguenti effetti sia in punto di adempimenti formali (fatturazione con indicazione del regime di non imponibilità) sia in relazione ad aspetti sostanziali, in particolare, alla rilevanza ai fini dell’acquisizione dello “status” di esportatore abituale e della formazione del plafond.

La distorsione delle regole

Tutto questo comporta una palese distorsione delle regole di territorialità, comunitarie e nazionali, che non è giustificata né in base al richiamo a precedenti orientamenti di prassi (la risoluzione 94/E/2013, citata dalla risposta, riguarda un caso molto simile a un «consignment/call-off stock») né in forza delle indicazioni della giurisprudenza (si veda l’articolo a fianco) e che, oltretutto, non è neppure rassicurante per gli operatori. Trattandosi di indicazioni fornite su casi specifici e del tutto peculiari, non è infatti da escludere che, per fattispecie simili ma non uguali, l’interpretazione (magari in sede di verifica) possa divergere da quella fornita nella risposta delle Entrate.

Ecco allora che, per garantire i benefici del plafond degli esportatori abituali (possibilità di eseguire acquisti di beni/servizi e importazioni senza applicazione dell’imposta), sarebbe meglio intervenire normativamente sulle operazioni che ne alimentano l’ammontare, includendo anche le vendite extraterritoriali di beni previamente esportati, anziché affidarsi ad aperture interpretative in contrasto con i “fondamentali” dell’imposta.

I PUNTI CHIAVE

Il Consignment stock
La vendita di beni previamente trasferiti in un deposito extraUe è una cessione all’esportazione. Ai fini Iva, infatti, si tratta di un’operazione unitaria che si perfeziona all’atto del prelievo delle merci dal deposito, nel rigoroso rispetto degli oneri documentali.
Risoluzione 58/E del 2005

Operazione «simil-consignment stock»
Il contratto di fornitura di beni personalizzati ricalca quello di consignment stock. Il deposito è però nella disponibilità del cedente. Al prelievo dei beni si realizza comunque una cessione all'esportazione. Infatti, le merci (di proprietà del cedente fino al prelievo) sono ab origine destinate (contrattualmente) a formare oggetto di cessione nei confronti di un cliente individuato.
Risoluzione 94/E del 2013

Cessione di beni in fiera
Secondo i giudici, «la vendita della merce temporaneamente esportata, che conserva […] la condizione giuridica di bene nazionale, vale […] a determinare […] la trasformazione dell’esportazione temporanea […] in esportazione definitiva, come tale rilevante anche ai fini della non imponibilità».
Le regole sulla territorialità però considerano solo il luogo in cui si trova il bene. La sentenza richiama poi il “disallineamento” temporale di cui all’art. 6 del decreto Iva che tuttavia riguarda fattispecie di rilievo civilistico specificamente individuate.
Cassazione 5168/2016 e 5894/2013

Cessione di beni precedentemente esportati
I giudici ammettono che la vendita di beni in precedenza esportati possa considerarsi una cessione all’esportazione basandosi sulla «necessaria ricorrenza di un vincolo finalistico tra trasferimento della proprietà e esportazione». Tuttavia, va rilevato che, alla luce di questo principio, tutte le esportazioni per tentata vendita (o comunque finalizzate a una futura vendita) potrebbero tradursi in cessioni all’esportazione non imponibili, prescindendo dalle regole di territorialità.
Cassazione 23588/2012

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