Nessuna distinzione tra interposizione fittizia e reale
Il caso di più cooperative in cui l'effettivo titolare era il presidente di una di queste
In base all’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973, non vi è distinguo tra interposizione fittizia e reale. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza 5276/2022 del 17 febbraio.
Il caso riguardava alcune imprese cooperative costruttrici per le quali era stato accertato che l’effettivo imprenditore risultava il presidente di una delle stesse, il quale, secondo gli uffici, disponeva delle loro risorse finanziarie.
Occorre rilevare che l’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973 dispone che «in sede di rettifica... sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona».
Secondo la Corte, la previsione prescinde dalla natura dell’interposizione – quindi contempla sia quella fittizia che quella reale – considerato che imputa al contribuente i redditi formalmente intestati a un altro soggetto, laddove, in base a presunzioni, egli ne risulti l’effettivo possessore.
Si tratta di conclusioni che non si condividono. Occorre rilevare che, sotto il profilo civilistico, originariamente il discrimine fra interposizione reale e fittizia veniva individuato nella partecipazione, o meno, del terzo all’accordo simulatorio. In sostanza, secondo questa tesi l’interposizione fittizia sarebbe da considerare una sorta di rapporto trilatero tra interponente, interposto e terzo contraente
Secondo gli ultimi arresti giurisprudenziali del giudice civile, invece, il discrimine tra i due istituti risiede nelle funzioni in concreto svolte dall’interposto nell’ambito del rapporto con l’interponente, sicché si configurerebbe ipotesi di interposizione fittizia solo quando il soggetto interposto interviene in maniera del tutto passiva.
La questione che si pone, quindi, sotto il profilo tributario è se la previsione dell’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973 comprenda sia l’ipotesi di interposizione fittizia che quella reale.
Si ritiene che la risposta sia negativa (nonostante gli ultimi arresti della Cassazione). Questo in quanto quella realizzata attraverso l’interposizione reale è una realtà assolutamente vera e voluta dal contribuente, che non può essere confusa con vicende “simulatorie”.
L’interposizione reale si realizza, difatti, quando l’interposto agisce come effettivo contraente, assumendo in proprio i diritti derivanti dal contratto e impegnandosi a ritrasferirli all’interponente con un successivo negozio di trasferimento. Così che si ritiene che l’interposizione reale, quando determina un vantaggio fiscale indebito, sia da ricondurre alle fattispecie elusive (abuso del diritto), con tutto quel che ne consegue (anche in termini di garanzie procedimentali). Mentre per tutte le ipotesi simulatorie occorre avere riguardo alla previsione dell’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973, la quale risulta chiaramente riconducibile ai fenomeni di evasione. In sostanza, quando il soggetto interposto interviene in maniera del tutto passiva, quale mero intestatario del cespite, del reddito, dei rapporti giuridici in genere, si è in presenza di fattispecie inquadrabili nella previsione del citato articolo 37. Quando, invece, il soggetto interposto assume una concreta funzione gestoria nell’operazione si ha un fenomeno di interposizione reale.
Quest’ultima, in definitiva, rappresenta una situazione paradigmatica di abuso del diritto. La stessa è infatti riconducibile a un negozio nel quale la forma giuridica è legittima, in quanto nulla viene simulato – i contratti sono validi ed efficaci – risultando invece «indebito» il solo vantaggio fiscale ottenuto dal contribuente.