Imposte

Paga le tasse «italiane» il pensionato pubblico che risiede in Portogallo

La sentenza della Corte Ue nelle cause C-168/19 e 169/19 ammette la differenza rispetto al settore privato

IMAGOECONOMICA

di Matteo Prioschi

I pensionati italiani del settore pubblico che sono diventati residenti ma non cittadini del Portogallo (o pensano di farlo) per il momento devono rassegnarsi a vedere il loro assegno previdenziale tassato secondo le regole italiane e non quelle del Paese che li ospita.

Per la Corte di giustizia dell’Unione europea è legittimo applicare un regime tributario differenziato ai pensionati residenti in un altro Stato in relazione al fatto che gli stessi siano stati impiegati nel settore privato o pubblico e se siano solo residenti o anche cittadini del Paese straniero (sentenza nelle cause riunite C-168/19 e 169/19).

In base alla convenzione sulle doppie imposizioni fiscali tra Italia e Portogallo, l’assegno dei pensionati italiani del settore privato che acquisiscono la residenza dello Stato iberico è tassata secondo le regole di quest’ultimo (più vantaggiose delle nostre). Invece per i pensionati del settore pubblico non è sufficiente la residenza, ma occorre la nazionalità portoghese per sottrarsi alle aliquote del fisco italiano.

A fronte di queste regole, due pensionati del settore pubblico hanno fatto causa all’Inps chiedendo l’applicazione delle condizioni previste per i dipendenti privati e la sezione pugliese della Corte dei conti ha chiamato in causa la Corte Ue al fine di stabilire se la convenzione contro le doppie imposizioni è contraria al Trattato per il funzionamento dell’Unione europea.

Più in particolare, il diverso trattamento fiscale dei pensionati pubblici e privati creerebbe un ostacolo alla libertà di circolazione che, secondo l’articolo 21 del Tfue, deve essere garantita a tutti i cittadini dell’Unione. Inoltre il fatto che, per avere lo stesso trattamento fiscale (portoghese), per alcuni sia sufficiente la residenza e per altri serva la cittadinanza costituirebbe una discriminazione basata sulla cittadinanza vietata dall’articolo 18 del Tfue.

La Corte Ue non condivide i dubbi sollevati e basa la sua decisione su tre motivazioni. La prima è che gli Stati dell’Unione sono liberi di decidere i criteri da utilizzare nelle convenzioni per ripartire tra loro la competenza tributaria. Nel fare ciò «non è irragionevole» utilizzare i criteri seguiti nella prassi tributaria internazionale. Nel caso specifico, la convenzione italo-portoghese riproduce il modello di convenzione del 2014 fiscale elaborato dall’Ocse.

La seconda motivazione è che la convenzione non ha l’obiettivo di garantire al contribuente l’imposizione più bassa tra quelle applicate dai due Stati, ma serve per evitare che lo stesso reddito sia tassato due volte.

La terza considerazione è che la scelta di prevedere, per i pensionati del settore pubblico, la tassazione dello Stato pagatore (nel nostro caso quello italiano) non comporta di per sé conseguenze negative per gli interessati in quanto le condizioni favorevoli o sfavorevoli del trattamento tributario non sono conseguenza, secondo la Corte Ue, dei criteri adottati nella convenzione, ma del livello di imposizione utilizzato dallo Stato competente in «mancanza di armonizzazione, a livello dell’Unione, delle aliquote d’imposta diretta».

A fronte di ciò, la Corte Ue ritiene non in contrasto con gli articoli 18 e 21 del Tfue una convenzione che fa differenza tra pensionati del settore privato e pubblico e se questi ultimi abbiano o meno la cittadinanza dello Stato in cui risiedono.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©