Prestiti, ritenute e dividendi esteri al vaglio delle norme anti-ibridi
Il documento dell’Ocse «Base Erosion and Profit Shifting 2» guida l’applicazione delle norme anti-ibridi. Si tratta di quelle disposizioni che contrastano gli schemi di erosione della base imponibile generati dalla diversa qualificazione tra Stati di strumenti finanziari, pagamenti, entità e stabili organizzazioni. È il caso dei fenomeni di doppia deduzione o di deduzione di un componente di reddito in uno Stato senza che vi sia la corrispondente tassazione in un altro Stato (la “deduzione non inclusione”).
Le norme anti-ibridi si applicheranno a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 (31 dicembre 2021 per gli ibridi inversi, di fatto non applicabili in Italia). Tuttavia, nel recepire la direttiva Atad 1 (come modificata dalla Atad 2) il Dlgs 142/2018 e la relazione illustrativa danno solo minime indicazioni sul coordinamento fra le norme anti-ibridi e le disposizioni su perdite fiscali riportabili a nuovo, Cfc, deducibilità degli interessi e ritenute.
Su un primo punto non dovrebbero esserci dubbi. L’utilizzo di perdite a fronte delle quali un componente positivo di reddito non è soggetto a tassazione non dà luogo a un effetto di “deduzione non inclusione”. In questo caso, infatti, il componente reddituale sarà, comunque, considerato incluso nella base imponibile del beneficiario e le norme anti-ibridi non troveranno applicazione (Beps 2, par. 406). Ma cosa accade con le altre disposizioni fiscali? La relazione illustrativa fa due utili rimandi al considerando n. 28 e, indirettamente, al n. 30 di Atad 2 che rispettivamente prevedono:
il richiamo al Beps 2 quale fonte illustrativa e interpretativa nella misura in cui gli esempi riportati risultino coerenti con le disposizioni della direttiva;
la non applicazione delle norme anti-ibridi qualora altre direttive (norme italiane o estere) neutralizzino il disallineamento.
Vediamo allora cosa dovrebbe accadere in ipotesi di concomitante applicazione delle norme anti-ibridi con le norme fiscali.
Ibridi e Cfc. Se l’effetto di “deduzione non inclusione” causato da un disallineamento da ibridi è totalmente neutralizzato dall’inclusione del reddito dovuto alla Cfc, le norme anti-ibridi non dovrebbero trovare applicazione: i Beps attribuiscono alla Cfc anche una possibile funzione di contrasto agli hybrid mismatch (Beps 2, par. 36 e ss. e raccomandazione 5.1, par. 171; Beps 3, cap. 1, nota 3); si veda l’esempio nella scheda.
Ibridi e deducibilità degli interessi passivi. Dovrebbero trovare prioritariamente applicazione le norme anti-ibridi (Beps 2, par. 291 e 292). Chiediamoci ad esempio cosa accade se la controllante non residente effettua – attraverso uno strumento finanziario ibrido – un finanziamento alla propria controllata italiana, dando luogo a un effetto di “deduzione non inclusione”: la controllata italiana, nell’applicare la primary rule (articolo 8, comma 2, lettera a del Dlgs 142) considererà indeducibili i relativi interessi nel complesso, senza determinare prima l’ammontare deducibile nei limiti del 30% del Rol fiscale.
Ibridi e ritenute. Transazioni che danno luogo a effetti di “deduzione non inclusione” dovrebbero essere, comunque, soggette alle norme anti-ibridi anche se il reddito, non oggetto di inclusione, sconta una ritenuta alla fonte. Richiamando l’esempio del precedente punto, le norme anti-ibridi si applicherebbero anche se gli interessi fossero soggetti a ritenuta nello Stato della fonte, e ciò sarebbe giustificato dal fatto che la funzione delle ritenute non è quella di contrastare disallineamenti da ibridi (Beps 2, par. 407). Tale posizione è stata criticata in dottrina in quanto l’applicazione della ritenuta – anche se non pensata con tale finalità – fa venir meno il disallineamento. Tuttavia, la relazione al decreto pare essere in linea con Beps 2, secondo cui «le norme anti-hybrid non troveranno applicazione laddove altre norme dell’ordinamento italiano (…) contrastino in modo specifico l’emersione del disallineamento da ibridi». Se ciò fosse confermato la concomitante applicazione delle due disposizioni darebbe luogo a un risultato particolarmente penalizzante: oltre alla indeducibilità degli interessi nello Stato del pagatore, ci sarebbe anche una ritenuta alla fonte che non darebbe diritto, nello stato del beneficiario, al foreign tax credit, in quanto relativa a un reddito non incluso.
LE SITUAZIONI CONCRETE
1. Il caso dell’ibrido importato
Gamma è una società italiana che ha un contratto di finanziamento con Beta, residente nello Stato B, a fronte del quale paga interessi. Beta a sua volta è finanziata da Alfa, residente nello Stato A.
Tale finanziamento è considerato strumento di debito nello Stato B, per cui Beta deduce costi per interessi, mentre è considerato strumento di capitale nello Stato A, per cui Alfa percepisce dividendi esenti. Si genera una “deduzione non inclusione” tra lo Stato A e B.
Il contribuente italiano Gamma non è parte dello strumento ibrido, in quanto gli interessi pagati da Gamma sono dedotti da Gamma e tassati da Beta.
Tuttavia, se Beta o Alfa non neutralizzano l’effetto ibrido “a monte”, il costo per interessi diventa indeducibile per Gamma.
2. Gli ibridi e le Cfc
Gamma, società italiana, ha un contratto di finanziamento con Beta, residente nello Stato B e controllata da Alfa, residente nello Stato A. Beta è entità trasparente nello Stato B e opaca nello Stato A.
Gli interessi dovuti da Gamma non sono inclusi nella base imponibile né di Beta, né di Gamma (deduzione non inclusione). Tuttavia, se in base alla Cfc gli interessi sono interamente tassati in capo ad Alfa, le norme anti-ibridi non scattano e Gamma può dedurre gli interessi.