Redditi di capitale e redditi diversi, una divisione da superare
Nonostante le profonde modifiche subite dal regime impositivo applicabile ai redditi di natura finanziaria, dalla riforma tributaria degli anni 70 non è mai stata messa in discussione la ripartizione dei redditi derivanti dalle attività finanziarie all’interno delle categorie dei redditi di capitale e dei redditi diversi. Il punto non è stato modificato neppure dal riordino della disciplina dei redditi finanziari del 1997 (Dlgs 461/1997), che ha comportato la possibilità per il contribuente – attraverso l’introduzione dei regimi del risparmio amministrato e del risparmio gestito – di optare per l’applicazione di modalità semplificate di riscossione dell’imposta, tramite intermediari abilitati e senza obbligo di successiva dichiarazione.
I tempi potrebbero essere maturi, però, per superare questa dicotomia, come è emerso nell’ambito dello studio sulle prospettive di riforma dell’Irpef curata dalle Acli con Caf Acli in collaborazione con l’Università degli studi di Brescia. A maggior ragione ora che diversi esponenti del Governo hanno prospettato un “cantiere” per la riforma dell’Irpef. In estrema sintesi, la soluzione potrebbe essere quella di applicare un prelievo sostitutivo del 26% sulla somma algebrica delle diverse componenti reddituali finanziarie, consentendo comunque a chi lo desidera di optare per la tassazione ordinaria Irpef. In effetti, il mantenimento delle due attuali categorie – seppur coerente con la scelta legislativa di non limitare il fenomeno impositivo soltanto ai redditi prodotti (redditi di capitale), ma di estenderla anche a tutte le manifestazioni di ricchezza finanziaria riconducibili a ipotesi di reddito o entrata (redditi diversi) – è criticabile sotto diversi profili. Da un lato, è “anacronistico” alla luce della recente uniformazione dell’imposizione delle partecipazioni societarie a prescindere dalla natura, qualificata o meno, di tali partecipazioni. Dall’altro lato, è oltremodo inadeguato a cogliere la complessità e l’articolazione degli strumenti finanziari. Tra i diversi esempi possibili, è sufficiente ricordare che allo stato attuale le minusvalenze (redditi diversi) derivanti dal riscatto di fondi, Sicav ed Etf non sono compensabili con i proventi dei fondi stessi, perché questi ultimi sono sempre qualificati come redditi di capitale.
L’obiettivo di arrivare a un definitivo superamento delle due categorie appare rafforzato dalle modifiche normative introdotte con la legge di Bilancio per il 2018 (articolo 1, commi 999 e seguenti, della legge 205/2017), che ha uniformato l’imposizione delle partecipazioni societarie a prescindere dall’entità della partecipazione detenuta (qualificata o no). A seguito di tali modifiche, tutti i dividendi vengono tassati sull’intero ammontare con la ritenuta a titolo d’imposta pari al 26% (salvo il regime transitorio) e, allo stesso tempo, è stato modificato anche l’articolo 5 del Dlgs 461/1997, che ora applica la sostitutiva del 26% sui capital gain anche alle partecipazioni qualificate.
Il tema della “unificazione” non è inedito. Invano si è dapprima tentato di attuare l’accorpamento delle due categorie in occasione della legge delega 80/2003 (mai culminata in decreto legislativo di attuazione), il cui articolo 3, comma 1, lettera d), tra gli altri criteri direttivi, prevedeva l’omogeneizzazione dell’imposizione su tutti i redditi di natura finanziaria, indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati per produrli.
Successivamente, neppure l’introduzione dell’aliquota unica sui rendimenti delle diverse tipologie di strumenti finanziari, prevista a dal 1° gennaio 2012 in base al Dl 138/2011, è intervenuta sul punto, inibendo ancora oggi la possibilità di compensare i redditi di capitale con minusvalenze e altri differenziali negativi.
In questa prospettiva, potrebbe essere utile volgere lo sguardo all’esperienza tedesca dove – in occasione dell’introduzione della ritenuta alla fonte a titolo di imposta – a decorrere dal 1° gennaio 2009, sono state annoverate all’interno della categoria dei redditi di capitale di cui al § 20 della legge istitutiva dell’Irpef tedesca, anche le plusvalenze realizzate dalla cessione dei rapporti produttivi di redditi di capitale (§ 20, co. 2, EstG). A determinate condizioni è ammessa la compensazione tra le minusvalenze e le perdite finanziarie con i proventi e le plusvalenze annoverate nella categoria dei redditi di capitale (§ 20, comma 6, EstG). Il legislatore tedesco ha rimosso – con effetti di rilevante semplificazione – la distinzione tra reddito prodotto e reddito entrata -plusvalenze, così fugando i dubbi interpretativi in merito alla fonte produttiva del reddito e contrastando i comportamenti elusivi derivanti dagli strumenti finanziari derivati.