Redditi diversi dalla vendita occasionale di prodotti agricoli acquistati da terzi
L’acquisto di prodotti agricoli presso terzi e rivenduti allo stato originario da parte di un’impresa agricola genera reddito diverso come ha confermato l’agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello 228 del 28 luglio 2020 (si veda l’articolo). La nota fa riferimento alla vendita occasionale pertanto se tale attività viene svolta abitualmente assume la natura di attività commerciale tassata a bilancio.
Peraltro si tratta di una fattispecie che si presenta con una certa frequenza anche perché stimolata dallo stesso legislatore come dimostrano i numerosi mercati contadini che si tengono sul territorio. Infatti l’articolo 4 del Dlgs 228/2001 e successive modifiche prevede al primo comma che gli imprenditori agricoli singoli e associati possono vendere direttamente al dettaglio i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, previa l’osservanza delle disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità. Il secondo comma aggiunge anche l’ipotesi che il produttore agricolo venda al minuto prodotti agricoli o alimentari appartenenti ad uno o più comparti agronomici diversi da quelli prodotti nella propria azienda; in questo caso l’acquisto deve essere avvenuto presso altri produttori agricoli. In sostanza se un produttore di frutta acquista frutta in misura non prevalente lo può fare acquistandola anche da commercianti. Invece se il produttore di frutta vuole vendere anche ortaggi, o vino o olio, deve acquistarli presso altri produttori agricoli. Ma ai fini fiscali relativamente ai prodotti acquistati presso terzi, il contribuente deve applicare il regime ordinario Iva ed ai fini delle imposte dirette tale attività non rientra ovviamente nel reddito agrario e nemmeno nella determinazione forfetaria del reddito di cui all’articolo 56-bis del Tuir (attività connesse). Quindi il reddito si determina nei modi ordinari come reddito di impresa, oppure come reddito diverso se si tratta di attività occasionale.
Invece se i prodotti acquistati presso terzi in misura non prevalente, vengono manipolati o trasformati, l’attività può rientrare nel reddito agrario se i prodotti ottenuti sono compresi nell’elenco ministeriale di cui al Dm 13 febbraio 2015 e qualora non vi siano inclusi, il reddito può essere determinato con la percentuale del 15% sui corrispettivi annotati ai fini dell’Iva.
Nel 2020 causa la pandemia da Covid-19 o dalle malattie che hanno colpito le produzioni agricole (vedi Xylella per le olive), o i nubifragi che hanno colpito il Veneto qualche giorno prima della vendemmia, può causare una riduzione della produzione propria a svantaggio di quella acquistata presso terzi e tale situazione può compromettere la prevalenza. In base alla circolare 44/E/2004 la attività rientrante nel reddito agrario, deve essere determinata con la produzione propria maggiorata della franchigia pari alla medesima produzione meno uno. Quindi ad esempio se un produttore di vino ha prodotto uva per 30 ed acquistato uva per 70, rientra nel reddito agrario sul vino prodotto fino a 59 su 100 e quindi rientra nel reddito di impresa per 41 su 100.
Manca una disposizione di legge che preveda che in caso di calamità naturali che comportino la perdita di almeno il 30% del prodotto ordinario del fondo, che ai sensi dell’articolo 31 del Tuir comporta l’esenzione da Irpef dei redditi dominicale ed agrario, possa essere tollerato un maggior acquisto di prodotti presso terzi per soddisfare (e quindi non perdere) la clientela. Ad esempio il Dm 30 dicembre 2005 per le cooperative prevede che in caso di calamita naturali accertate dalle autorità competenti, la verifica della mutualità prevalente viene posticipata a dopo che sono venuti meno gli effetti dell’evento calamitoso.