Rileva la residenza indicata in dichiarazione se differisce da quella anagrafica
Nell’ambito dell’accertamento delle imposte sui redditi, in caso di originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, a risultare valida è la notifica dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, considerato che, l’indicazione del Comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi dell’articolo 58 del Dpr 600/1973, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento dell’amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta a verificare la correttezza del domicilio eletto.
A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione con ordinanza 25450/2019.
Il sistema delle notificazioni individua, in ottemperanza alle minuziose regole disposte dalla disciplina in merito alle differenti ipotesi che si possono manifestare in concreto, un elemento comune a tutte le fattispecie che è rappresentato dal luogo in cui l’attività del notum facere deve essere realizzata.
A eccezione della «notificazione in luogo libero», disciplinata dall’articolo 138 del Codice di procedura civile e applicabile al contesto tributario in funzione del richiamo generale alle regole del Codice civile operato dal comma 1, articolo 60 del Dpr 600/1973, la cui lettera c) fa sempre salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, in ambito fiscale la notifica, secondo quanto prescritto nel prosieguo di detta disposizione, «deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario».
Il domicilio fiscale, astrazione che trova cittadinanza esclusiva in tale ambito, è il luogo predeterminato dalla legge mediante criteri oggettivi, che compendia la necessaria relazione spaziale tra l’ufficio e qualsivoglia soggetto giuridico assoggettato alla potestà impositiva.
Il concetto di indirizzo, disciplinato dall’articolo 60 del Dpr 600/1973, a differenza del domicilio fiscale che è stabilito dalla legge, è lo spazio fisico in cui, nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, il contribuente può essere effettivamente rintracciato e corrisponde al luogo nel quale viene fissata la residenza anagrafica delle persone fisiche o la sede degli enti.
Analizzando la giurisprudenza di legittimità, si incappa frequentemente in pronunce che originano da fattispecie nelle quali, analogamente al caso “de quo”, sussisteva una difformità tra la residenza anagrafica “ufficiale” e l’indirizzo indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi destinata all’Agenzia delle entrate.
Nel contesto in esame, è stato ritenuto prevalente il dato inserito nella dichiarazione, con conseguente validità della notifica eseguita presso l’indirizzo «del domicilio eletto» (Cassazione 25680/2016).
La sentenza in commento, coerentemente con tale orientamento e con la regola secondo la quale il menzionato principio «non può ovviamente essere letto a ’senso unico’» (Cassazione 23024/2015) afferma che, così come l’Agenzia deve poter fare affidamento sulle informazioni fornite a essa dall’interessato, allo stesso modo quest’ultimo deve poter confidare sul fatto che, laddove renda formalmente edotto l’ufficio di una specifica scelta circa il proprio domicilio fiscale o indirizzo, in tale luogo verranno eseguite le notifiche che lo riguardano.
Tale conclusione trova qualificato riscontro nel comma 1, dell’articolo 6 della legge 212/2000 il quale, dopo aver previsto che l’ufficio «deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati» precisa che, a tal fine, lo stesso provvede a comunicarli «nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare».