Spese sanitarie, deducibilità o detraibilità “legata” all’importo dei contributi versati
L’articolo 15, comma 1, lettera c), del Testo unico delle imposte sui redditi, Dpr 917/1986, prevede una particolare eccezione alla regola generale di non detraibilità o deducibilità degli oneri rimborsati al contribuente. Secondo la predetta disposizione, il contribuente ha diritto alla detrazione o deduzione fiscale della spesa sanitaria sostenuta anche nel caso in cui la stessa sia stata rimborsata. La detrazione avviene a condizione che il rimborso sia riconducibile a contributi o premi per i quali non è prevista la detraibilità o la deducibilità o che, essendo versati da altri (ad esempio, il datore di lavoro) concorrono formare il suo reddito di lavoro dipendente.
L’agenzia delle Entrate, nella guida (aggiornata al giugno 2019) pubblicata sul proprio sito istituzionale, elenca i casi in cui la detrazione delle spese è comunque riconosciuta. Precisa altresì che non si considerano, invece, rimaste a carico del contribuente le spese rimborsate a fronte di contributi per assistenza sanitaria versati dal sostituto d’imposta o pagate dallo stesso contribuente a enti e casse aventi esclusivamente fine assistenziale che, fino a 3.615,20 euro, non hanno concorso a formare il reddito imponibile. Questi contributi sono indicati nella certificazione unica rilasciata dal sostituto d’imposta. In questi casi, comunque, è ammessa in detrazione la differenza tra la spesa sostenuta e la quota rimborsata. Se i contributi versati sono superiori al limite di 3.615,20 euro, è possibile portare in detrazione, oltre alla somma non rimborsata, anche una quota parte di quella rimborsata, calcolata sulla base della percentuale risultante dal rapporto tra i contributi eccedenti il tetto di 3.615,20 euro e il totale dei contributi versati. Anche i contributi versati in misura eccedente sono riportati nella certificazione unica rilasciata dal sostituto d’imposta.
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