Unità non abitative e 110%: ecco quando scatta il bonus
Le risposte a Telefisco completano il quadro delle casistiche ma fa discutere il caso di edifici misti di unico proprietario
Quando si parla di superbonus, gli unici a non doversi troppo preoccupare della tipologia edilizia sono i tre enti del Terzo settore indicati dal decreto Rilancio. Cioè le Onlus, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale (lettera d-bis, comma 9, articolo 119, del Dl 34/2020). Per questi soggetti, la circolare 30/E/2020 – confermando una precedente audizione delle Entrate – ha chiarito che il 110% si applica a qualsiasi categoria catastale (case di lusso escluse, ovviamente). Vanno comunque rispettati gli altri requisiti: quindi, ad esempio, per il 110% in versione “eco” i locali devono essere già dotati di impianto di riscaldamento.
Sono agevolati a prescindere dalla tipologia edilizia anche i lavori eseguiti su immobili o parti di immobili adibiti a spogliatoi, quando i beneficiari sono le associazioni e società sportive dilettantistiche (lettera e del comma 9 citato).
Per gli altri beneficiari, invece, la destinazione residenziale è decisiva.
Singole unità immobiliari
Cominciamo dagli edifici costituiti da una sola unità immobiliare principale, eventualmente affiancata da una o più pertinenze. Qui il beneficiario sarà quasi sempre una persona fisica che agisce al di fuori dell’attività di impresa o professione. Potrebbe anche trattarsi di un istituto autonomo case popolari o di una cooperativa a proprietà indivisa, ma paiono ipotesi di scuola per questo tipo di edifici.
L’immobile dev’essere iscritto in una categoria catastale abitativa non di lusso (perciò gruppo A, esclusi A/1, A/8, /A9 e A/10).
Si può anche intervenire su un’unità non residenziale, purché al termine dei lavori diventi abitativa e il cambio d’uso sia già autorizzato dal titolo abilitativo con cui si avvia il cantiere (interpello 538/2020). Ammesso anche l’intervento su un rudere (categoria F/2, edifici collabenti), sempre a patto che l’unità di arrivo sia residenziale.
Se la casa è adibita a uso promiscuo, la detrazione è dimezzata, e la riduzione – come chiarito dalle Entrate a Telefisco Speciale del 23 giugno – vale anche per eventuali comproprietari o familiari conviventi (il coniuge, nel caso del quesito).
Le stesse considerazioni valgono quando c’è un’unità inserita in un edificio plurifamiliare, ma funzionalmente indipendente e dotata di accesso autonomo, su cui si fa un intervento di 110% in versione “eco”. Pensiamo al laboratorio al pianterreno di un palazzo (categoria C/2), che viene trasformato in un loft (A/2).
Il discorso si complica per gli edifici plurifamiliari – senza unità indipendenti – in cui si interviene sulle parti comuni.
Condomini
In caso di lavori sulle parti comuni, la prassi delle Entrate è che le spese sono detraibili «soltanto se riguardano un edificio residenziale considerato nella sua interezza» (circolare 57 del 1998, poi ripresa nella 24/E/2020).
Non c’è dubbio che una palazzina a uffici sia esclusa dal superbonus, ad esempio. Nel caso di condomìni residenziali, ma “misti”, vale questa regola:
1 se la superficie complessiva delle unità residenziali è superiore al 50%, hanno il superbonus anche i possessori e i detentori delle unità non abitative (ad esempio, gli uffici o i negozi) che sostengano le spese per le parti comuni;
2 se prevale la superficie delle unità non residenziali, c’è il 110% «per le spese realizzate sulle parti comuni da parte dei possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nel medesimo edificio» (circolare 24/E citata).
In entrambi i casi i lavori “trainati” al 110% spettano solo agli abitativi posseduti da soggetti “meritevoli” dell’agevolazione.
Ricordiamo che, quando detraggono in virtù di condòmini per lavori sulle parti comuni, possono avere la detrazione anche soggetti diversi dalle persone fisiche (ad esempio, una società che possiede un appartamento).
Edifici di un unico proprietario
Diverso il caso dei lavori su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, posseduti da un unico proprietario (o in comproprietà tra più persone fisiche). È ormai assodato che nel conto delle unità non vanno considerate le pertinenze, che però valgono ai fini del calcolo del limite di spesa, seguendo la regola dettata per i condomìni: così un edificio con tre appartamenti e tre box auto accatastati in modo autonomo nello stesso corpo di fabbrica calcolerà la spesa moltiplicando il plafond per sei.
Ma cosa succede se solo alcune unità delle unità principali sono abitative? Nelle risposte di Speciale Telefisco, si dice che si può avere il 110% per i lavori sulle parti comuni «solo qualora la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza ricomprese nell’edificio sia superiore al 50 per cento».
Pensiamo a una palazzina con un negozio al pianterreno e due alloggi ai piani superiori (nessuna unità indipendente). Se prevale la superficie abitativa, anche la quota dei lavori trainanti di miglioramento energetico su parti comuni riferibile al negozio ha il 110% (off-limits, invece, i lavori trainati nel locale commerciale).
Se al primo piano ci fosse un ufficio – e quindi prevalesse la superficie non abitativa – seguendo letteralmente la linea delle Entrate, il 110% sarebbe escluso per tutti i lavori sulle parti comuni. Ma è evidente che questa risposta crea una disparità di trattamento con i condomìni e genera un effetto paradossale, perché incentiva il proprietario a donare o a cedere una delle unità prima dell’avvio dei lavori, così da precostituire il condominio e ricadere nella regola sub 2).
Il che è esattamente il tipo di operazioni artificiose per evitare le quali è stato modificato l’articolo 119 con la legge di Bilancio 2021. Sembra possibile, quindi, che questa parte della risposta sia rimasta (non per volontà) nella penna delle Entrate.
Giorgio Gavelli, Riccardo Giorgetti
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