Imposte

Bonus start up a chi ha investito anche se è in comunione legale

La risposta a interpello 146/2020: il regime non obbliga a condividere i benefici fiscali con il coniuge

di Alessandro Sacrestano

Il regime di comunione legale non obbliga a condividere col coniuge i benefici fiscali derivanti dalla sottoscrizione di quote di capitale in start up innovative. A precisarlo è la risposta a interpello 146/2020, in cui l’agenzia delle Entrate si è anche soffermata brevemente sui contenuti sostanziali dell’agevolazione introdotta con l’articolo 29 del Dl 179/2012 per lo sviluppo delle start up innovative.

In particolare, la norma richiamata riconosce un beneficio fiscale consistente in una detrazione/deduzione dal reddito imponibile dei soggetti che investono nel capitale sociale delle start up sia direttamente che per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società di investimento. Possono accedere allo sconto fiscale sia le persone fisiche che quelle giuridiche.

Il decreto attuativo della misura agevolativa, emanato il 7 maggio 2019, all’articolo 3, ha sostanziato la misura dell’agevolazione, fissandola al 30% dei conferimenti rilevanti effettuati, per un importo non superiore a un milione di euro, da sfruttare in ciascun periodo d’imposta.

La comunione legale
Fatta tale premessa, nella questione sottoposta al Fisco è illustrato il caso di un contribuente persona fisica che, nel corso del 2019, ha sottoscritto una quota sociale per l’importo di diecimila euro a titolo di investimento in una società avente i requisiti di start up innovativa. Precisa il contribuente che lo stesso è coniugato in regime di comunione legale dei beni. Si tratta di una precisazione che, a rigor di norma, non è ininfluente atteso che, come ben evidenziato nel testo dell’interpello, la «dottrina prevalente interpreta che tutte le quote acquisite in regime di comunione dei beni cadano nella comunione legale immediata in forza della previsione dell’articolo 177, comma 1 lettera a) del Codice civile». Insomma, l’investitore si chiede se il regime patrimoniale adottato, ossia quello della comunione, interferisca sull’integrale fruibilità della detrazione garantita dall’articolo 29 e se, in particolare, detto regime “obbliga” a ripartire la detrazione spettante in parti uguali con il proprio coniuge. Evidenzia, a tal riguardo, di essere l’unico sottoscrittore delle quote di partecipazione e di averne sopportato in pieno la spesa.

La fruizione integrale
L’agenzia delle Entrate ha scongiurato tale ipotesi, assicurando l’integrale fruizione della detrazione in capo al solo coniuge che ha sottoscritto le quote. Tale interpretazione deriva dalla stessa lettera dell’articolo 29 che accorda l’agevolazione al solo soggetto che effettua l’investimento agevolato, senza entrare nel merito del regime patrimoniale adottato da quest’ultimo.

È pur vero che, come illustrato nell’interpello, l’articolo 4 del Tuir sancisce che i redditi oggetto della comunione legale sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare o per l’eventuale diversa quota stabilita. Tuttavia, spiega ancora il Fisco, nel caso esaminato è necessario fare riferimento ai principi generali validi in tema di oneri detraibili previsti dalla legge e relativi all’effettivo sostenimento della spesa e all’idonea documentazione della stessa. Tale principio non è intaccato dal regime di comunione legale che, di fatto, fa in modo che la titolarità giuridica del 50% dell’investimento appartenga di fatto al coniuge. Pertanto, solo il sottoscrittore dell’investimento, in possesso della documentazione che l’attesti, ha diritto alla integrale detrazione fiscale qualora abbia effettivamente sostenuto in proprio tutta la spesa dell’investimento.

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