Imposte

Decreto del Mise: sì al bonus R&S anche se la ricerca fallisce

Il nuovo Dm richiama i manuali Ocse e detta i quattro requisiti che l’attività deve avere per essere agevolata

di Stefano Mazzocchi

Finalmente è stato firmato il nuovo Decreto Mise sul credito d’imposta per ricerca e sviluppo a valere per il prossimo triennio. Si tratta di un testo formato da sei articoli che già a una prima lettura appare sbilanciato sulle definizioni delle attività che rientrano nel beneficio fiscale.

Particolarmente importanti risultano anche le «Premesse» al testo dove sono ricordate, in modo esaustivo, tutte le radici normative del provvedimento attuativo. Come si ricorderà, nella precedente versione (Dm 27 maggio 2015) non avevano trovato spazio – nelle premesse ma neanche nel testo – i riferimenti alla comunicazione della Commissione europea 2014/C 198/01 nonché ai Manuali di Frascati e di Oslo. Tale lacuna ora è stata colmata con gli espliciti riferimenti.

Si sono finalmente adottate delle definizioni di ricerca fondamentale, ricerca industriale e e ricerca sperimentale (articolo 2) che vanno oltre la semplice riproduzione del testo comunitario. Tuttavia queste implementazioni delle definizioni dovranno essere adeguatamente commentate e spiegate nei prossimi documenti di prassi che necessariamente dovranno vedere la luce al più presto, per permettere agli operatori di avere finalmente un quadro d’insieme chiaro e soprattutto senza rischi interpretativi.

I requisiti dell’attività di ricerca
Nelle definizioni dei vari tipi di ricerca, il ministero ha voluto sottolineare l’importanza dei prototipi e più genericamente dei modelli di prova che contengono tutti i requisiti che un’attività di ricerca deve avere:
pianificazione della ricerca;
necessario supporto economico-finanziario agli investimenti in ricerca;
aleatorietà sull’esito finale in termini di risultati;
individuazione in fase di avvio degli obiettivi che la ricerca si propone di raggiungere sul grado di novità e di innovazione delle attività.

A tal proposito, il ministero compie un deciso passo in avanti (come richiesto d’altra parte dagli operatori anche nella precedente versione) nel comma 3 dell’articolo 2, dove si ammettono due principi cardine, già ampiamente riconosciuti nella prassi aziendale:
1. il primo, è l’ammissione al beneficio fiscale anche quando gli obiettivi prefissati dalla ricerca non vengono raggiunti dall’impresa;
2. il secondo principio prevede il riconoscimento dell’agevolazione anche quando le finalità della ricerca sono state già raggiunte da altre imprese ma queste conoscenze non sono fruibili perché ad esempio siano divenute delle informazioni segrete o più banalmente perché non disponibili.

Gli effetti sui contenziosi
Queste due considerazioni che si basano su concetti pragmatici e che prendono spunto dai principi comunitari in materia di R&S (la necessità della diffusione della conoscenza nonché il problema del superamento delle asimmetrie informative), avranno certamente dei riverberi positivi sugli attuali contenziosi in essere con l’agenzia delle Entrate relativamente alla precedente versione del credito d’imposta (2015-19). Di fatto, siamo in presenza di una sorta di interpretazione autentica da parte del Mise: pertanto non dovrebbero essere più contestati, anche per il passato, i crediti sulla base dei due nuovi principi esplicitati appunto nel comma 3 dell’articolo 2 del Dm.

Ampio spazio è poi dato alla definizione di attività di innovazione tecnologica (con particolare attenzione all’innovazione digitale 4.0) e alle agevolazioni concesse per i prodotti cosiddetti del Made in Italy (moda, design, arredamenti eccetera) dove sono stati meglio chiariti i perimetri operativi di settore, superando, così, tra l’altro, la oramai datata circolare 46586 del 16 aprile 2009. Infine, all’articolo 6 sono dettate, fra le altre, alcune specificità “limitative” sui compensi spettanti ai soci e agli amministratori impegnati nelle attività di ricerca.

La traduzione dei manuali
Sottolineiamo, infine, che rimando il rimando ai due Manuali di Frascati e Oslo pone un altro problema che speriamo possa trovare una soluzione al più presto: la libera consultabilità non solo dei due manuali (o delle parti più rilevanti) ma anche della loro traduzione in lingua italiana. Si ricorda, peraltro, che in altre occasioni, specie per i materiali Ocse, sono sempre state messe a disposizione di tutti gli operatori le traduzioni ministeriali di gran parte degli atti internazionali, richiamati da norme o da documenti nazionali di prassi.

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