Imposte

Iva, esportazione per l’e-commerce di beni dal deposito estero

La risposta a interpello 238: le operazioni sono non imponibili e costituiscono plafond. Si deve solo registrare la transazione nel registro corrispettivi

Le cessioni in e-commerce a privati con preventivo trasferimento in un Paese terzo costituiscono, ai fini Iva, una cessione all’esportazione con partecipazione delle stesse alla formazione del Plafond.

La grande apertura che favorisce la gestione del commercio elettronico è stata data ieri dall’agenzia delle Entrate con la risposta 238, rispondendo ad un quesito posto da una società che commercializza beni di sua produzione su un mercato extra-Ue attraverso una piattaforma online, che permette ad aziende internazionali di vendere i propri prodotti a privati consumatori.

In particolare, l’istante ha rappresentato di avvalersi di un trade partner che la supporta per la realizzazione di detta attività e che la merce oggetto di cessione parte dall’Italia per essere trasferita in un magazzino di proprietà di terzi, situato in una zona franca di uno Stato extra-Ue, in attesa di essere venduta a privati consumatori; prima di tale momento, la merce resta di proprietà dell’istante. L’uscita della merce dal magazzino italiano verso il magazzino extra-Ue, senza una sottostante operazione di cessione, configura un’esportazione ai soli fini doganali, ovvero un’operazione “franco valuta”, documentata dalla emissione di una fattura pro-forma, in cui la merce viene valorizzata al presumibile valore di cessione, seppur sarebbe possibile valorizzarla al costo.

La merce viene sdoganata dalla società che gestisce il deposito fiscale in zona franca, solo al momento dell’uscita dei beni dal deposito per essere consegnata al consumatore finale, trattandosi di deposito fiscale. È in quel momento che si realizza l’effettiva cessione, ovvero quando perviene sul portale l’ordine da parte del cliente privato. L’istante ritiene di qualificare l’operazione come non territorialmente rilevante in Italia, con conseguente emissione di autofattura ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto Iva.

Ebbene, l’agenzia delle Entrate partendo da taluni assunti e facendo talune assimilazioni, non condivide le conclusioni dell’istante qualificando anzitutto l’operazione come un’attività di commercio elettronico indiretto e, come tale, assimilabile alle vendite per corrispondenza che, come noto, non sono soggette all’obbligo di emissione della fattura né all’obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale.

Inoltre, e questa sembra un’apertura interessante per tutte le attività di e-commerce con l’estero, l’Agenzia ritiene di poter assimilare la fattispecie in oggetto al consignment stock, di modo che, con il prelievo dei beni dal deposito per la consegna al cliente estero, si darà esecuzione alla compravendita e si realizzeranno i presupposti per inquadrare l’operazione come cessione all’esportazione non imponibile. L’Agenzia, a supporto di tale interpretazione, richiama i giudici di legittimità secondo cui è essenziale la prova che l’operazione fin dalla sua origine e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero.

Sembrerebbe, quindi, che questa qualificazione preventiva dell’operazione farebbe venir meno, ad esempio, l’obbligo, recentemente ribadito anche in sede unionale per il call of stock, della preventiva conoscenza del destinatario della merce. Secondo l’Agenzia, quindi, l’operazione è qualificabile come operazione di commercio elettronico indiretto, la movimentazione della merce deve essere annotata in apposito registro tenuto ai sensi dell’articolo 39 del decreto Iva e la successiva cessione, qualificabile come cessione all’esportazione, da diritto alla formazione del plafond Iva, non comporta l'emissione di fattura se non richiesta dal cliente e deve essere registrata nel registro di cui all’articolo 24 del decreto Iva.


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