Vendita di fabbricati da demolire, per gli atti pendenti si apre la strada dell’annullamento
Dopo il dietrofront della circolare 23/E gli uffici sono chiamati ad annullare in autotutela gli avvisi emessi in passato con contenziosi pendenti
Con la circolare 23/E/2020 del 29 luglio, l’agenzia delle Entrate ha finalmente fatto marcia indietro in merito al proprio orientamento sul tema della tassabilità delle cessioni di fabbricati da demolire.
Si ricorda che in base all’articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir (Dpr 917/1986), sono redditi diversi, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.
Nella prassi si verifica talvolta che fabbricati fatiscenti vengano venduti a soggetti che hanno l’intenzione di demolirli e ricostruirli. In tali casi, l’amministrazione finanziaria – sulla scorta dell’interpretazione fornita nella risoluzione 395/E/2008 - era solita riqualificare la cessione di fabbricato in cessione di terreno edificabile, atteso che l’intento reale delle parti sarebbe stato quello di trasferire la capacità edificatoria dell’area.
Con giurisprudenza pressoché unanime (salvo alcuni casi sporadici, come le sentenze 12294/2015 e 16983/2015), la Cassazione ha ripetutamente bocciato la tesi dell’agenzia delle Entrate, affermando che il Fisco non può procedere a tale riqualificazione, atteso che un terreno su cui insiste un fabbricato è da ritenersi già edificato e, quindi, non trova applicazione l’articolo 67 del Tuir. In altri termini, l’entità sostanziale del fabbricato non può essere mutata ai fini fiscali in terreno edificabile, sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi interni alla sfera dei contraenti, la cui realizzazione, peraltro, è futura ed eventuale rispetto all’atto oggetto di tassazione (come nel caso di demolizione del fabbricato e successiva ricostruzione). Tra le più recenti sentenze che si sono espresse in questo senso si vedano le nn. 22409/2019, 16718/2019, 13276/20196, 9606/2019, 5088/2019, 23409/2018.
Il cambio di rotta
Adesso l’Agenzia accetta questi principi e ritiene superate le indicazioni contenute nella risoluzione 395/E/2008, invitando gli uffici locali a non proseguire i contenziosi pendenti.
Gli uffici sono pertanto chiamati ad annullare in autotutela tutti gli avvisi di accertamento emessi in passato su questo tema ed i cui contenziosi sono ancora pendenti davanti le Commissioni tributarie o la Cassazione.
L’annullamento dell’atto dovrà intervenire anche nelle ipotesi in cui l’Agenzia abbia ottenuto una vittoria provvisoria nel corso del contenzioso (fattispecie tutt’altro che infrequente, contandosi comunque diverse sentenze di merito che negli anni hanno confermato l’impostazione dell’agenzia delle Entrate; si veda da ultimo l’articolo sulla Ctr Campania 174/8/2020).
Nessun impatto se l’avviso non è stato impugnato
Nessuna retromarcia può invece essere fatta nelle ipotesi in cui l’avviso di accertamento non sia stato impugnato nei termini dal contribuente oppure nei casi in cui l’Agenzia ha ottenuto una sentenza favorevole passata in giudicato per mancata impugnazione. In questi casi, l’avviso di accertamento si è “consolidato” e il contribuente deve continuare a versare le somme ancora dovute mentre, se ha già versato tutto, non potrà chiedere il rimborso alla luce dei nuovi chiarimenti.
Il nodo della condanna alle spese
Da ultimo, si segnala che l’annullamento dell’atto in corso di giudizio dovrebbe condurre alla condanna dell’Agenzia a rimborsare le spese di lite che il contribuente ha dovuto affrontare per difendersi da una pretesa ingiusta (sul punto, si vedano, tra le tante, la sentenza di Cassazione 7273/2016 e l’ordinanza 8990/2019).