Controlli e liti

Riconducibili alla società i movimenti bancari dei familiari stretti che collaborano

La Cassazione ribalta sul contribuente l’onere della prova contraria

di Roberto Bianchi

Nell’ambito delle imposte sui redditi, lo stretto legame familiare e la contenuta composizione del nucleo domestico è sufficiente a giustificare, fatta salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica e pertanto, in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a motivare i versamenti e i prelievi
riscontrati e in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, si ritiene soddisfatta la prova presuntiva a supporto della pretesa fiscale con il correlato spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente.

A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione con l’ordinanza 6833/2020. La guardia di Finanza, nella circolare 1/2018, ha sostenuto che l’effetto presuntivo configurato dalle disposizioni sulle presunzioni scaturenti dalle indagini finanziarie «e, conseguentemente, l’obbligo del contribuente di fornire la prova liberatoria in maniera puntuale e specifica, vale per tutti i rapporti finanziari intrattenuti dal contribuente, ancorché cointestati con terzi, soprattutto ove si tratti di congiunti, dal momento che il vincolo familiare è da ritenersi sufficiente per suffragare l’attribuzione delle operazioni rilevate dalla documentazione all’attività del soggetto sottoposto ad attività ispettiva».

I precedenti
Tale postulato è stato allargato allo scenario dei rapporti finanziari intestati a terzi in merito ai quali, dall’attività accertativa, risulti che il contribuente abbia «delega ad operare rilasciata dall’intestatario, soprattutto ove questo fosse un familiare e non si fosse dimostrato che il potere di disposizione del rapporto finanziario fosse stato conferito per circostanze specifiche e giustificabili» (Cassazione, sentenza 23861/2007).

Con la sentenza 4904/2013 i giudici della Corte hanno affermato la legittimità dell’estensione delle indagini bancarie ai familiari risultando, la relazione parentale, in grado di giustificare (salvo prova contraria) la riferibilità al contribuente sottoposto a
verifica delle operazioni riscontrate sui conti correnti intestati o cointestati a familiari mentre, con la sentenza 2843/2008, la Corte suprema ha sostenuto che «la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto di cui possa disporre per le rimesse o i prelevamenti inerenti all’esercizio della propria attività, e trova così basi logiche indipendenti dall’eventuale concorso della facoltà di un altro
soggetto di utilizzare lo stesso conto».

Indirizzi non univoci
La giurisprudenza di legittimità risulta, di fatto, divisa in merito alla possibilità, riservata all’ufficio, di estendere le indagini finanziarie ai conti correnti di soggetti diversi dal contribuente accertato qualora non venga dimostrata la natura fittizia della titolarità dei rapporti o, in ogni caso, l’effettiva riferibilità degli stessi al contribuente, sebbene appaia prevalere la tesi più garantista, favorevole al contribuente. La Corte di cassazione ha infatti affermato, in merito alla possibilità da parte dell’agenzia delle Entrate di estendere gli accertamenti bancari anche ai soci della società, che «se vi è la dimostrazione della concreta riferibilità delle movimentazioni bancarie alle operazioni societarie trova applicazione ... una presunzione legale a carico del contribuente» (ordinanza 945/2020) e pertanto, viene richiesto, al fine di legittimare l’estensione delle indagini bancarie ai terzi, che venga provata la sostanziale imputabilità al contribuente delle posizioni creditorie e debitorie
annotate sui conti; (Cassazione 19213/2007).

Appare pertanto convincente l’interpretazione secondo la quale l’amministrazione finanziaria (anche mediante presunzioni semplici) ha l’onere di provare che i conti correnti intestati esclusivamente a soggetti terzi vengano utilizzati nell’ ambito dell’attività del contribuente interessato dall’accertamento e questo anche in considerazione del fatto che il richiamato onere probatorio in capo all’ufficio (presunzioni semplici, gravi,
precise e concordanti) era vigente anche in merito all’ interposizione fittizia ex articolo 37 comma 3 del Dpr 600/1973, fattispecie in qualche maniera equiparabile a quella in esame.
Pertanto, anche per le operazioni relative alle movimentazioni dei
conti intestati a terzi soggetti, il giudice dovrebbe verificare il livello di fondatezza delle presunzioni rappresentate dall’ufficio in merito alla riferibilità al contribuente delle medesime.

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