Canoni non riscossi, il bivio tra prelievo e perdite su crediti
Considerata la crisi delle attività commerciali, i locatori possono valutare una riduzione degli importi
Accettare un “taglio” del canone o rifiutarsi, aumentando però il rischio di non incassare nulla? È la scelta che sono chiamati a fare i proprietari degli immobili affittati, che devono rispondere alle richieste dei conduttori oggi costretti a sospendere l’attività o a esercitarla in maniera molto ridotta.
Il tema è se venire incontro (o meno) al locatario, non solo con una dilazione dei pagamenti, ma anche con una vera e propria riduzione dell’importo, per tutti i mesi in cui l’immobile è – per motivi non certo dipendenti dalle parti – un “peso” più che un bene strumentale. Prescindendo sia dalla solidità giuridica di tali richieste (i contratti in essere sono pienamente validi, e al limite si dovranno fare opportune riflessioni sul concetto di cause di forza maggiore intervenute e di eccessiva onerosità del contratto) sia dal credito d’imposta previsto dall’articolo 65 del Dl 18/2020 “cura Italia” (peraltro con limiti temporali, soggettivi e oggettivi, emersi anche dalla circolare 8/E/2020), che potrà portare un piccolo sollievo a qualche commerciante.
Le diverse valutazioni
Il locatore può considerare molte variabili, a volte anche soggettive: dalla precedente puntualità nei pagamenti dell’inquilino al tipo di attività esercitata, sino alla concreta possibilità di trovare una collocazione alternativa all’immobile.
Ma non si può negare che anche la variabile fiscale abbia un certo peso in tali decisioni. Da questo punto di vista, anzi, entrano in gioco tanti elementi (si vedano le schede in basso): perché si deve ragionare diversamente a seconda di chi sia il locatore (privato cittadino, imprenditore, eccetera) e quale sia la categoria “fiscale” dell’immobile interessato (abitativo, commerciale, immobile patrimonio ex articolo 90 del Tuir).
Due casi frequenti
Proviamo a ipotizzare le due ipotesi più comuni: immobile non abitativo (negozio, capannone, ufficio, eccetera) concesso in locazione da un imprenditore (primo caso) o da un soggetto privato (secondo caso). E – sempre per semplificare – supponiamo che non ci siano vie di mezzo: con la riduzione si è sicuri di incassare, rifiutandola si è sicuri di non farlo.
Nella prima ipotesi (locatore in regime d’impresa), concedere la riduzione equivale a un minor ricavo; mentre non concederla comporta, nel tempo, una perdita su crediti, deducibile (con la dovuta documentazione) ai fini Irpef/Ires, ma non Irap.
Nella seconda ipotesi (locatore soggetto privato), sotto l’aspetto fiscale il discorso è purtroppo più semplice, in quanto non esiste una “perdita su crediti” e il canone va sempre dichiarato anche se non incassato, in base all’articolo 26 del Tuir. Anche di recente (Ctr Toscana 151/04/2020, si veda Il Sole24Ore del 22 marzo 2020), la giurisprudenza di merito ha ricordato il costante orientamento della Cassazione teso a valorizzare la distinzione tra gli immobili abitativi (per cui ha effetto la convalida di sfratto per morosità e, per i contratti stipulati dal 1° gennaio scorso, l’ingiunzione di pagamento, come stabilito dal Dl 34/2019) e gli immobili diversi, per i quali l’unica via d’uscita è la risoluzione del contratto di locazione, in tutte le forme previste dalla legge (Corte costituzionale 362/2000, Cassazione 12332/2019 e circolare 11/E/2014). Una via che, ove non contrattualmente prevista, può presentare diversi ostacoli.
A ogni modo, proprio queste sentenze insegnano che, nel caso si decida a favore della riduzione del canone, è opportuno (anche se non obbligatorio in quanto scrittura privata non autenticata, risoluzione 60/E/2010) che l’accordo sia registrato, al fine di evitare indebite (ma assai probabili) richieste di maggiori imponibili da parte dell’amministrazione finanziaria. Tra l’altro, la registrazione dell’accordo di riduzione è esente da imposta di registro e di bollo (articolo 19, Dl 133/2014).
Gli esempi
1. Locatore privato e immobile abitativo
I canoni non percepiti non concorrono alla formazione del reddito, solo se la mancata percezione è comprovata:
● in sede di convalida dello sfratto per morosità (per contratti stipulati fino al 31 dicembre 2019);
● dall’ingiunzione di pagamento (per contratti dal 2020).
L’imposta sui canoni riscossi in periodi d’imposta successivi rispetto al dovuto è calcolata separatamente (articolo 21, Tuir). Credito d’imposta per i canoni tassati e non percepiti come da accertamento giudiziale.
2. Locatore privato e immobile non abitativo
Valgono le regole “tradizionali” dell’articolo 26 del Tuir sull’imputazione dei redditi fondiari (che concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti).
Pertanto i canoni non percepiti vanno dichiarati fino a quando non viene ottenuta la risoluzione del contratto (nelle varie forme previste dalla legge).
3. Locatore imprenditore e immobile abitativo
Poiché l’imponibile viene determinato con le regole del reddito fondiario (articolo 90, comma 1, Tuir) si applica la stessa disciplina dell’abitativo con locatore privato.
Quindi si escludono dall’imponibile i canoni non incassati dopo la conclusione del procedimento di convalida di sfratto (per contratti ante 2020); o anche dopo l’ingiunzione di pagamento (per i contratti stipulati dal 2020), in base al nuovo testo dell’articolo 26, comma 1, Tuir.
4. Locatore imprenditore e immobile strumentale
I canoni non percepiti generano perdite su crediti (B.14 del conto economico), ex articolo 101, comma 5, Tuir: per la deducibilità occorrono elementi certi e precisi, tranne per importi sotto i 2.500 euro scaduti da almeno un semestre (è superiore a 2.500 euro la pendenza per 4 canoni mensili da 800 euro riferiti allo stesso contratto, circ. 26/E/2013). Elementi certi anche in caso di procedure concorsuali o cancellazione dal bilancio seguendo i principi contabili.