Niente forfettario per il contribuente all’estero che lavora in prevalenza per il suo ex datore italiano
La risposta a interpello 359 ritiene operante la causa ostativa che vieta l’accesso al regime se si opera con il precedente datore
Il contribuente che vive all’estero e svolge prevalentemente l’attività nei confronti del suo datore di lavoro italiano non può accedere al regime forfettario. Lo precisa la risposta a interpello 359 delle Entrate del 16 settembre.
L’interpello veniva presentato da un contribuente che, per esigenze lavorative, si era trasferito dall’Italia all’estero; pur avendo presentato istanza di iscrizione all’Aire, alla data della richiesta egli risultava residente in Italia.
Dopo aver cessato, nel 2019, il rapporto di lavoro dipendente, ne aveva avviato un altro. Al contempo, era intenzionato ad avviare una attività di lavoro autonomo per collaborare con la medesima società presso la quale era dipendente.
Chiedeva, quindi, se tale circostanza potesse essere d’ostacolo alla fruizione del regime forfettario di cui alla legge 190/2014. A favore dell’applicabilità di questo regime, il contribuente citava una risposta già fornita dall’Agenzia, la numero 173/2019.
Considerato che l’attività dell’istante sarebbe stata volta prevalentemente nei confronti del suo datore di lavoro, l’Agenzia ritiene operante la causa ostativa che preclude l’applicazione del regime forfettario a coloro che esercitano l’attività prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta (lettera d-bis, comma 57).Risultava, invece, inapplicabile il principio affermato nella risposta 173/2019 secondo cui il contribuente che rientra in Italia spostando la residenza ai fini fiscali, può applicare il regime forfettario anche se svolge all’attività nei confronti di ex datori di lavoro esteri; in questa ipotesi, infatti, l’ufficio escludeva che potesse verificarsi un’artificiosa trasformazione di un lavoro dipendente in un lavoro autonomo (che è proprio ciò che la causa ostativa intende evitare).Nella fattispecie in esame, invece, considerato che il contribuente era residente in Italia (pur vivendo all’estero), sussisteva un criterio di collegamento di carattere personale con tale Stato e in base all’articolo 2 del Tuir doveva essere tassato in Italia, come Stato della residenza, sui redditi di lavoro dipendente prodotti nel Paese estero nel 2019 e nel 2020.Scatta di conseguenza la causa ostativa. Peraltro, laddove il reddito di lavoro dipendente conseguito fosse stato, nell’anno precedente, superiore a 30.000 euro, il contribuente sarebbe incorso anche nella causa ostativa di cui alla lettera d) del comma 57.L’istante, infine, nell’ipotesi di un suo rientro in Italia, chiedeva se fosse possibile beneficiare del cosiddetto regime degli «impatriati» (articolo 16 del Dlgs 127/2015) che consente di fruire di una parziale esenzione del reddito prodotto per coloro che trasferiscono la residenza in Italia. Sul punto, l’ufficio ricorda che il decreto crescita ha previsto l’estensione dei benefici di questo regime anche a coloro che, pur vivendo all’estero non sono iscritti all’Aire (come nel caso dell’istante). Tuttavia, l’istanza viene giudicata, su questo punto, inammissibile in quanto si basa su un fatto presunto e non concreto (il rientro in Italia era solo ipotizzato).